(In)ter(per)culturando: Tre domande ad Andrea Villani

par BarbaraGozzi
giovedì 25 novembre 2010

L’abitudine è quella di catalogare ogni cosa.
Oggetti, mestieri, generi, azioni.
In ambito artistico poi, le etichette possono diventare fondamentali per favorire o meno l’accesso non soltanto a specifici ambienti o situazioni che mettono in contatto artisti stessi, ma anche – forse soprattutto oggi – per rendere riconoscibile l’artista verso un potenziale pubblico che può così ricordarlo facilmente (sia esso attore, sceneggiatore, scrittore, pittore, fotografo, scultore, istallattore, scenografo, musicista, cantante, ballerino…).
Ogni ruolo, ogni attività artistica in senso ampio deve avere una sua precisa collocazione e così le persone.
Non sempre però è semplice, automatico ed evidente.
E non è nemmeno una novità.
 
La storiografia moderna ricorre alla definizione di ‘uomo rinascimentale’ quando si tratta di individuare personalità che hanno eccelso in diverse arti e mestieri nel corso d’un periodo che per convenzione si individua nel XV secolo. L’uomo rinascimentale era dunque qualcuno che aveva dimostrato di padroneggiare ben più d’una disciplina, spesso mescolando attività fortemente diverse tra loro come politica e letteratura, oppure scienza e teatro e così via.
 
Nel XXI secolo non sembra cambiato l’approccio pubblico contemporaneo, persiste la necessità di semplificare, etichettare e schematizzare pratiche e volti. Ed esattamente come in passato ci sono molte eccezioni in parte figlie delle mutazioni artistiche provenienti dai periodi passati, in parte come diretta conseguenza delle nuove modalità comunicative, divulgative, e conoscitive. In altri termini, tra arti in evoluzioni, tecnologie e medialità etichettare persone e mestieri non è più così semplice (né probabilmente coerente con l’attuale realtà mobile, mutaforme e aperta alle contaminazioni).
 
Propongo un’intervista ad Andrea Villani, scrittore (non solo di romanzi), direttore artistico e conduttore di eventi, ospite di trasmissioni televisive di approfondimento nelle reti Rai e molto altro (una biografia dettagliata in fondo al pezzo – n.d.r.).
 
1 Quest'anno è uscito per Mursia 'La strategia del destino' che non è il tuo primo romanzo pubblicato. Ma per chi conosce e frequenta inziative culturali, sei noto anche per la rassegna culturale a Salsomaggiore Terme e altri eventi più o meno recenti. Poi accendo la televisione e ti ritrovo in trasmissioni nazionali di approfondimento in fasce orarie oscillanti tra il notturno e il primo pomeriggio. Mi spieghi come sei arrivato a occuparti di diverse attività che spaziano dal letterario puro all'intrattenimento finendo anche tra le maglie della medialità in senso ampio?
 
A.V: L’intrattenimento può essere considerato in tanti modi. Una volta per intrattenimento si concepiva la lettura del “Don Chisciotte della Mancia” di Cervantes. Oggi credo che per esportare cultura, soprattutto letteratura, occorra agire in sinestesia tra le varie arti. Creare spettacolo. Trovo noiosissime le presentazioni canoniche dei libri. Il più delle volte trovo noioso anche l’autore. Quasi sempre il relatore. Sto cercando una via per parlare di libri che sia più leggera. Intendendo per “leggerezza” quella di Italo Calvino. Mica quella di Alba Parietti. La televisione, per chi scrive, non è punto d’arrivo, ma un passaggio. Che può essere considerato importante, anche se filtrato, in termini di comunicabilità. Un’esperienza che può allargare i confini della propria espressività. Addirittura della creatività. Se vissuta con la curiosità intellettuale di uno scrittore. Non con la velleità di una starlette. E’ capitato che autori televisivi leggessero alcuni dei miei romanzi. Senza essere imboccati o altro. Mi hanno provato e ho funzionato. Cosa significhi “funzionare”, in termini televisivi, devo finire di capirlo. Ma non posso fare a meno di notare che molti autori che demonizzano la televisione sono spesso coloro che, in televisione, non li chiamano mai.
 
2. C'è un'attenzione, nei tuoi romanzi, in ciò che scrivi, per il quotidiano, le realtà periferiche o comunque quei micro mondi di persone che seppur complessi non sono eroi o eroine, non incarnano prototipi piuttosto raccontano storie tra eccessi e banalità che attingono direttamente al reale o a un verosimile molto forte, crudo. Quanto è 'funzionale' la scelta di avvalersi del genere giallo-noir in senso ampio, e quanto invece è esigenza creativa? E perché c'è ancora bisogno di occuparsi delle 'piccole cose' laddove ormai le medialità bombardano anticipando il c.d. 'tempo reale'?
 
A.V.: Parlo delle piccole cose, o almeno ne ho parlato negli ultimi due romanzi, proprio per raccontare che non esistono più. Non narro del Mondo Piccolo, ma della "Fine del Mondo Piccolo". Il senso di vuotitudine incalzante che ha globalizzato la provincia e i microcosmi. Il nulla che avanza. Va aggiunto che la medialità non anticipa e non spiega. La medialità "confeziona". Non inventa il vero, ma lo disarma. Lo rende fiction. La letteratura dovrebbe contemplare invece il percorso a ritroso. L'istante che misuro oggi, invece, e che quindi racconterò, è la nuova provincia. Che si trova in centro a Milano, in via Montenapoleone, a S.Babila. Oppure in via del Babuino, o via Condotti, a Roma. E' la nuova provincia delle piccole storie che osservo. Fatta, anzichè di contadini e di preti, di commesse di Armani o dei baristi, senza sopracciglia, degli happy hour. Ci trovi storie genuine. Imbarazzanti o commoventi. Da prima linea. Incredibilmente interessanti. Da lì in avanti si procede. 
 
3. Recentemente hai scritto: "L'Italia è una Repubblica rifondata sulla Fica". Mi spieghi cos'è che secondo te sta succedendo in Italia? Qual'è questa realtà che viviamo tra tecnologie, sfasature percettive e manipolazioni? E, sempre in tema di medialità - medium comunicativi - è cambiato il contatto tra le news e la gente, quella che guarda la televisione, ascolta salotti e dibattiti, segue articoli sui giornali o pezzi on line? Oppure è l'ennesima sfasatura che gonfia una forma ma non cambia le sostanze?
 
A.V.: Il meccanismo becero dei "rilassamenti" a suon di bunga bunga parrebbero l'ultimo petardo esploso di un lungo fuoco d'artificio. Inteso nel senso di calore artificiale, e incrociato, nel senso di un fuoco che è anche trasversale, a cui siamo stati sottoposti. La Cultura della Fica impera grazie allo strapotere mediatico che promuove un tipo, un logo, di bellezza femminile, fatta di solo sesso. Una stagione pessima che riguarda la donna e il proprio ruolo sociale. La visione pornografica di una misoginia ben più sottile, e lurida, di quella che pareva trascorsa. Il rapporto con le news è mutato perché è cambiato il patto di rispetto nei confronti di colui che usufruisce della notizia. Leggono in pochi. Sempre meno acquistano i giornali. Bisogna arrivarci con le suggestioni. Il tanto bistrattato Minzolini aumenta l’audience inserendo notizie imbarazzanti nei TG. Ma va detto che il metodo funziona. Della probabile desolazione intellettuale a cui saremmo giunti e del rischio di devastazione culturale se ne parlava negli anni 60. Pier Paolo Pasolini ci raccontò tutto nel dettaglio già da allora. Questo è ormai il popolo del Grande Fratello. Ma nessuno avrebbe immaginato che il Grande Fratello fosse una specie di piccolo idiota.
 
 
(…) Borgo delle Terme sembrava un mollusco andato a male. Chiuso in un’ostrica argentata. Un paese nascosto alle proprie intenzioni, semichiuso d’inverno e semiaperto d’estate. Un paese che aveva dimenticato le proprie origini padane, emiliane. Cooperativiste e partigiane. Figlio di un pensiero grande, nipote di un pensiero sbiadito. Corrotto. Stuprato prima dai fascisti poi deluso dai compagni. Sempre tenuto a bada dai preti. Derubato e defraudato. Paese, fiction, delle signore country trendy che andavano a ritirare i bambini a scuola, uno alla volta, con auto tanto grandi da poterne contenere almeno quindici. E invece no: quindici suv per quindici bambini. Con i loro zainetti Invicta e le merendine gusto finti frutti di bosco e colorante. E cellulari minuscoli, quasi invisibili, e dalle suonerie irritanti. E mariti ossessionati dal lavoro, dalle rate e dalla programmazione delle vacanze estive e invernali. Collusi con le proprie maledizioni. Complici dei loro aguzzini. Custodi perenni del proprio inferno (…) 
[La strategia del destino di Andrea Villani, Mursia, 2010]
 
 
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Andrea Villani ha vissuto a Caracas, Londra, Parma e Costa Rica. Ha scritto per il teatro Mille e non più Mille e Alla corte di Sancio Panza e pubblicato diversi racconti per antologie, riviste e quotidiani. Tra i quali "La Repubblica", "Gazzetta di Parma" e "Giallo Mondadori". E' spesso ospite a Rai2, a Rai Notte e a Rai Radio 2 in qualità di scrittore noir. Ha scritto il Corto Thriller "Questo sangue - l'ultima rapina di Luciano Lutring" .
Ha scritto e interpretato i reading musicali "Malvasia Tropicale" e "Noir Tropical Reading" con le musiche di Flavio Ferri (Delta V) e le istallallazioni fotografiche di Lucia Leuci. E' responsabile cultura della rivista "Terre Verdiane News", direttore esecutivo dello Psicofestival (direzione scientifica di Gabriele La Porta) e direttore artistico e conduttore delle rassegna letterarie, musicali ed enologiche AUTORI & SAPORI, DICIOTTOEVENTI e 9EVENTI. Ha pubblicato tra gli altri romanzi "La notte ha sempre ragione" (Todaro Editore) e "La strategia del destino" per Mursia Editore.

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