In piazza Tahrir non solo democrazia: 46 aggressioni sessuali sulle donne egiziane

par Francesco Finucci
giovedì 4 luglio 2013

Ad oggi l'Operation Anti-SexualHarassment/Assault, gruppo attivista egiziano ha ricevuto ben 46 report di "aggressione sessuale" nei pressi di Piazza Tahrir, solo durante la manifestazione del 30 giugno. Non solo democrazia, come già il trattamento riservato alle giornaliste presenti - anche in diretta - aveva dato modo di pensare. L'Egitto è ad un bivio, e a questo riguardo Morsi è l'ultimo dei problemi.

Il termine con il quale alcuni fatti di Piazza Tahrir sono stati definiti non è dei più semplici. Muftah parla di "sexual assault", che in italiano in italiano potrebbe essere tradotto come assalto sessuale, anche se non proprio correttamente. Il fenomeno che infatti viene fotografato è complesso, e ruota da un po' attorno alle manifestazioni in Egitto, esponendole tra l'altro anche alla propaganda dei Fratelli Musulmani: i casi segnalati all'OpAntiSH sono dei più vari, dalle molestie a veri e propri casi di stupro di gruppo, a volte aggravato da sevizie.

Le donne - in stato di shock - hanno spesso avuto necessità di cure mediche (in un caso anche chirurgiche), mettendo in allarme sullo stato di cose in Egitto, facendo parlare Muftah di "livello catastrofico" durante il 30 giugno, con casi verificatisi dalle sei del pomeriggio fino alle due di notte. Casi che hanno attirato l'attenzione delle forze politiche, pronte ad assaggiare il dolce sapore del martirio politico come forma di redenzione. Specie ora che il nemico non è più Mubarak, ma un presidente che può contare sulla piazza con altrettanta forza dei manifestanti.

Ora che la piazza è un tassello strategico per tutti (opposizione compresa) sembra difficile che vi rinunceranno proprio ora che uno dei suoi strumenti più potenti si è attivato. Ironico poi - come sottolinea ancora Muftah - che a difensori della salute femminile siano proprio i Fratelli Musulmani, orgogliosi sostenitori della mutilazione genitale e oppositori delle donne al governo.

È così che la violenza ormai scatenata fa della denuncia non un atto di liberazione, ma anzi l'apertura di uno scenario di rischio per la denunciante, sottoposta a scherno, se non a veri e propri assalti. Il tutto senza contare l'utilizzo dello stupro come strumento di pressione e tortura da parte delle forze di polizia.

La richiesta mossa da Muftah al riguardo è apparentemente semplice, ma anche l'unica possibile: ottenere dai leader politici una garanzia effettiva per le manifestanti. Una garanzia che ovviamente non c'è, e che nessuno si azzarda a concedere, di contro ad una massa di migliaia di persone assiepate ed eccitate, libere nella moltitudine di liberare ogni possibile perversione.

Il gruppo OpAntiSH è riuscito in qualche caso ad evitare il peggio, ma in quattro giorni il numero delle vittime è salito vertiginosamente al numero di 100. Colpa del clima di impunità, dice Amnesty International, ma anche di una rete di controlli sociali che se da religioso-fondamentalisti diventeranno rivoluzionari non cambieranno nulla nel paese.

Le ronde nel paese non sono che una salutare ma limitata soluzione. Ma anche su questo i leader politici - e soprattutto le coscienze - tacciono. Manifestare fa paura, ma fa ancora più paura uscire dai condizionamenti senza cadere nell'improvvida tentazione di tornare a nascondersi in nuove e più confortevoli gabbie. Manifestare fa certo paura, ma è la Liberazione a far tremare davvero. Una liberazione che nessuno vuole, perché ci lascia soli con noi stessi di fronte all'abisso della Storia.


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