In pensione a 70 anni? Pura teoria

par Alessia Berra
giovedì 15 settembre 2011

Da più pulpiti la sentenza è la stessa: la vita media si è allungata e non c'è ragione per non estendere l'età pensionabile fino a 70 anni. La riforma del sistema pensionistico si allineerebbe non solo ad esigenze di bilancio ma anche sociali. In realtà si tratta di un esercizio contabile valido solo sulla carta, non applicabile all'attuale contesto senza profondi mutamenti culturali e legislativi, che sarebbe auspicabile cominciare ad introdurre fin da ora.

La sostanza non cambia, sia che parliamo di lavoratori autonomi, professionisti o lavoratori dipendenti, di lavori manuali o intellettuali: fare lo stesso lavoro fino a 70 anni è un'utopia. Tralasciando chi fa lavori pesanti o usuranti, per cui è evidente la difficile applicabilità del pensionamento a 70 anni, prendiamo il caso di un professionista o un dipendente.

Un professionista, che sia un avvocato o un commercialista, presta un servizio basato sì sulla propria esperienza, ma anche sulla propria preparazione, sulla conoscenza aggiornata della materia, sulla capacità di trovare prontamente la soluzione ad un problema e di consigliare il cliente. Fatico a credere che un commercialista a 70 anni sia ancora in grado di studiare e comprendere ogni novità in materia di tributi, frequentare corsi di aggiornamento, fare le nottate per completare e spedire telematicamente le dichiarazioni dei redditi entro la scadenza, in generale lavorare 14-15 ore al giorno ai ritmi forsennati a cui è abituato.

Un dipendente, invece, già da ora sta sperimentando quanto sia difficile restare "appetibile" ed avere un mercato allo scoccare dei 50 anni. Se non ricopre una posizione da alto dirigente, negli anni successivi si vedrà offrire più volte un "incentivo" alle dimissioni commisurato agli anni che mancano al pensionamento. Nel frattempo gli verranno offerte mansioni sempre meno gratificanti, senza peraltro avere la possibilità concreta di cercarsi un lavoro altrove,

È evidente come questa pratica sia possibile fino a quando le aziende si troveranno a dover pagare 4 o 5 annualità per incentivare un dipendente alle dimissioni, ma diventa impraticabile nel caso in cui gli anni mancanti alla pensione dovessero diventare 10 o 15. Quindi qual è l'alternativa? Obbligare le aziende a popolarsi di vecchietti obsoleti, derisi, condannati a ciondolare per 15 o 20 anni da un lavoretto all'altro? E nel frattempo, che ne è dei giovani laureati che spingono per prendere il loro posto?

La soluzione non può essere questa. A mio parere esiste un solo modo per risolvere il problema finanziario legato al costo delle pensioni estendendo contemporaneamente, e in maniera realistica, la vita lavorativa di ciascuno di noi.

Prima di tutto, il sistema pensionistico deve diventare contributivo per tutti, e funzionare alla stregua di un'assicurazione. Si riceve in base a quanto si versa durante la vita lavorativa, e ognuno deve essere libero di riscuotere il proprio assegno pensionistico (quasi) quando ritiene opportuno farlo, senza vincoli di età. Chiaramente meno anni lavorati significano una rendita inferiore, ma questa deve poter essere una scelta solo ed unicamente del lavoratore. Le pensioni non devono più essere pagate dalla forza lavoro attiva, perchè nei Paesi ad alto tasso di anziani il paradigma non può reggere, ma ogni pensione deve essere pagata dal suo stesso beneficiario.

In secondo luogo, è necessario che l'intera Società riconosca e comprenda che negli anziani risiede un enorme potenziale che non va sprecato nell'inattività, e va indirizzato verso professioni e mansioni a supporto della collettività. Ad esempio come volontari presso ospedali, come baby sitter, come insegnanti di sostegno per bambini e ragazzi disabili, come animatori di centri per anziani e accompagnatori, tanto per fare qualche esempio.

E' evidente che questo richiede un profondo cambiamento culturale e legislativo. Dobbiamo prima di tutto convincerci che da un certo punto in poi della nostra vita inizia una fase "nuova". Diversa ma non per questo meno stimolante. E che ciò comporta abbandonare l'attività a cui ci siamo dedicati fino a quel momento, diventata faticosa e poco gratificante, per abbracciarne un'altra, più consona alle nostre esigenze e ai nostri ritmi, lasciando spazio ai giovani. E questa nuova attività, ovviamente, deve essere retribuita e deve poter essere cumulabile con la pensione, in modo da incrementare le entrare mensili complessive e permetterci di mantenere un tenore di vita più che dignitoso.

D'altro canto, è necessario che il legislatore promuova la creazione di società e associazioni che abbiano come scopo l'incontro tra domanda di servizi alla collettività e offerta di forza lavoro "over 55". La legislazione deve regolamentare la loro attività e la loro introduzione all'interno di un disegno organico di riforma non solo del sistema pensionistico, ma del lavoro nel suo insieme.

Vignetta di Francesco Natali.


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