In Sicilia, per un caffè al bar servono tre chili e mezzo di frumento

par Sebastiano Russo
martedì 26 febbraio 2013

Per comprare un caffè al bar occorrono tre chili e mezzo di frumento e se vogliamo comprare un chilo di pane dovremmo portare l’equivalente di dieci chili di frumento. Si tratta di una vera e propria sproporzione di valori. Quello che per i siciliani era l’oro, la risorsa primaria di sopravvivenza, la vera e propria ricchezza si è ridotta a non aver nessun valore.

Con la conseguenza che progressivamente vengono abbandonati i terreni destinati alla granicoltura.

Il sostegno contributivo della Comunità Europea nel breve termine ha dato un aiuto ai coltivatori, ma se analizzata nel lungo termine li ha ulteriormente affossati. La politica dell’ammasso ha prodotto un abbassamento della qualità del frumento prodotto. Se poi a questo fatto aggiungiamo la mancanza di tracciabilità del prodotto finale, si ha un vero quadro inquietante per noi siciliani. Tutto ciò nell’assenza di una vera e propria politica di lobby da parte della rappresentanza parlamentare siciliana in Europa.

Per la filiera olivicola e vinicola si sono introdotti marchi DOP così quando vogliamo comprare un prodotto di qualità sappiamo da dove viene, come viene prodotto e lo paghiamo di conseguenza. Per il grano tutto questo non avviene. Quando andiamo in un panificio o mettiamo la pasta in pentola nessuno sa da dove viene la farina che l’ha generato. Accade troppo spesso che arrivano enormi navi cargo da ogni parte del mondo a vendere sul mercato europeo grano di scarsa qualità, magari dall’Ucraina con ancora tracce di uranio di Cernobyl senza lasciarci alcuna possibilità di scelta. Ma non sarebbe bene mettere la denominazione di origine controllata anche nelle farine? Perché non debbo sapere da consumatore, dov’è stato prodotto il grano? Non si tratta di puro protezionismo, ma di trasparenza, di tutela del diritto dei consumatori.

Legambiente Sicilia, in un convegno tenutosi a Caltanissetta non molto tempo fa aveva già posto l’accento sulla debolezza della cerealicoltura siciliana individuando quattro motivi fondamentalmente:

1) Debolezza strutturale della produzione (eccessiva polverizzazione delle aziende di produzione e totale scollamento con le esigenze del mercato dei derivati);

2) Deficit qualitativo della produzione cerealicola;

3) Carenza di industrie di trasformazione che sono del tutto incapaci di competere sui mercati internazionali;

4) Carenza di associazioni di produttori in grado di difendere i propri associati in termini di strutture, prezzi e capacità di influenza politica.

 

A questi quattro punti di debolezza associava quattro punti di forza:

1) La vocazione storica. I siciliani coltivano grano da secoli, e sono perfettamente in grado, se gliene venisse offerta l’opportunità, di produrre grani di eccellente qualità;

2) La tutela ambientale. Il grano duro si coltiva in Sicilia soprattutto in collina, lì dove i fenomeni erosivi hanno un impatto maggiore. Coltivare grano significa quindi proteggere il suolo, svolgendo un’opera meritoria per l’intera comunità. Ciò viene oggi riconosciuto come un merito all’interno della nuova Politica Agricola Comunitaria.

3) La biodiversità e la ricerca. La Sicilia è un autentico forziere di diversità genetica cerealicola, essendosi diversificate nei secoli, nell’isola, un gran numero di varietà di grano. E’ da sottolineare anche la grande preparazione dei Centri di Ricerca.

4) La specificità delle produzioni isolane. In Sicilia si coltivano grani adatti alle più diverse tipologie di trasformazione.

Per far fronte a questo stato di fatto sarebbe importante che agricoltori, industriali, organizzazioni dei produttori,sindacati, ambientalisti, associazioni dei consumatori e forze politiche regionali concentrino sinergicamente i loro sforzi.

Rimane ancora di grande attualità quanto sostenuto dal prof. Calcagno della Stazione Sperimentale di Granicoltura di Caltagirone stigmatizzando “il difficile rapporto con le industrie di trasformazione che per esigenze tecnologiche, per abbattere i tempi di produzione, richiedono grano ad elevato contenuto proteico in grado di sostenere le alte temperature a cui avviene la pastificazione, in modo che, per denaturazione delle proteine, anche una pasta a basso contenuto in glutine sia in grado di “tenere la cottura” e tutto ciò a discapito delle caratteristiche organolettiche che sono invece il punto di forza e l’unicità del grano duro siciliano”.

La dott. Giulia Gallo della stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia nel valorizzare la specificità del nostro grano sottolinea “ L’assenza delle aflatossine,cosi pericolose per la salute umana è un elemento distintivo del grano siciliano ed è dato dalle particolarità di microclima regionale e risulta essere un fattore che da un lato deve e può essere codificato nelle pratiche di stoccaggio differenziato che la regione sta portando avanti con le Op e dall’altro alto può essere un forte elemento distintivo commerciale che va comunicato con forza come punto di vera eccellenza qualitativa”.

 


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