In Italia lavorano poche donne e sono sottopagate
par Paolo Borrello
sabato 4 febbraio 2012
Nel corso degli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”, svoltisi presso il Cnel, sono stati illustrati numerosi dati relativi al lavoro femminile. Innanzitutto è stato rilevato che nel 2010 il tasso di occupazione femminile è stato del 46,1% nel nostro Paese, classificatosi così ultimo in Europa, prima di Malta.
È il dato fornito da Linda Laura Sabbadini, direttore del Dipartimento Statistiche sociali e ambientali dell'Istat. Il lavoro femminile, in particolare, al Sud scende al 30,5% contro il 56,1% del Nord. “Il territorio più colpito dalla crisi - ha sottolineato Sabbadini - è stato il Sud. Nel Mezzogiorno le donne occupate, come anche gli uomini, sono diminuiti molto di più che al Nord, e quindi le differenze tra le due parti del Paese continuano ad aumentare”.
Inoltre, ha aggiunto: “La quota di donne inattive che non cercano attivamente lavoro, ma sono subito disponibili a lavorare, in Italia, è quasi 4 volte più elevata che in Europa (16,6% rispetto al 4,4%). Sono donne ‘scoraggiate’”.
Sempre secondo Linda Laura Sabbadini “il problema del lavoro delle donne è prettamente legato al welfare. Se i servizi resteranno così, non ci sarà crescita dell'occupazione femminile”. Infatti “la situazione delle donne sul mercato del lavoro è peggiorata con la crisi partendo da una situazione già grave”. E quindi per il direttore dell'Istat “o si redistribuisce il lavoro di cura tra i generi e nella società, sviluppando una rete di servizi ampia e funzionante, facilitando anche la crescita dell'occupazione delle donne nel settore dei servizi, o difficilmente potrà esservi futuro per l'occupazione femminile”.
Tutto questo perché “i nodi del welfare ‘fai da te’ sono venuti al pettine, è aperta la questione della necessità di rifondazione del sistema di welfare anche in quest'ottica”, ha rilevato Sabbadini. Ulteriori interessanti informazioni sono state fornite dal direttore dell’Istat. “In Italia, con la crisi, è cresciuto il part time ‘involontario’ tra le donne, che non è quello che serve per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Noi abbiamo una quota di part time ‘involontario’' che è doppia rispetto a quella europea, a fronte di una quota di part time che è più bassa di quella degli altri Paesi”.
Secondo Sabbadini “questo vuol dire che il nostro part time sta crescendo più come strumento di flessibilità dal lato delle imprese che non dal lato della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le donne e anche per gli uomini”.
In Italia poi il tasso di occupazione femminile diminuisce all'aumentare del numero di figli. Secondo i dati dell'Istat, infatti, il tasso di occupazione delle donne in coppia con un figlio è del 60% contro il 91,3% degli uomini nella stessa situazione, e diminuisce al 50,6% nel caso di due figli e crolla al 33,7% in caso di tre figli o più.
La diminuzione che si evidenzia tra primo e secondo figlio avviene di più che nel resto d'Europa. La giornata lavorativa delle donne rispetto a quella degli uomini è più lunga di 45 minuti. A sostenerlo è un'indagine dell'Isfol, presentata sempre agli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”, dal ricercatore dell'Istituto Marco Centra.
Secondo l'indagine, appunto, la giornata lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare, degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore.
La maggior parte del tempo dei padri, circa 10 ore su 24, è dedicata al lavoro retribuito, mentre il tempo delle madri è diviso tra lavoro familiare, 8 ore e 35 minuti, e lavoro retribuito, 7 ore e 9 minuti.
Quindi, in generale, la giornata lavorativa delle donne rispetto a quella degli uomini è più lunga di 45 minuti, e le donne dormono circa 10 minuti in meno degli uomini. Infine “Il divario di genere sui salari, a parità di tutte le condizioni, qualifica e istruzione, si aggira nel 2008 intorno al 13%, ed è crescente nel tempo”. A dirlo, a margine degli “Stati generali” è stata Roberta Zizza, economista della Banca d'Italia, che ha presentato durante l’incontro uno studio dell'istituto.
“Il divario di genere – ha spiegato Zizza - è presente sia nella retribuzione fissa che nella parte variabile, quella più legata al merito e alla produttività”. E, cosa ancora più grave, secondo Zizza, “questo divario si conserva anche se andiamo a confrontare i salari di lavoratore e lavoratrice nella stessa azienda e con la stessa qualifica”. C'è da sottolineare, ha ribadito Zizza, che “il dato grezzo sulla differenza salariale è del 6%, ma non tiene conto del fatto che le donne che sono in occupazione sono ‘selezionate’, quelle più istruite, con migliore ‘background’ familiare e competenze”.