In Italia, la violenza mafiosa è un capitale
par Emiliano Di Marco
lunedì 27 febbraio 2012
La pubblicazione del XIII° rapporto di SOS Impresa mette in evidenza come la crisi stia fornendo ulteriore alimento alla crescita economica dell'economia mafiosa e fornisce dati ed elementi per riaprire il dibattito sulla criminalità organizzata, ormai elemento “strutturale” dell'economia e della società italiana.
La violenza mafiosa è oggi un fattore economico importante ed è diventata elemento costitutivo di una parte significativa delle imprese e degli “imprenditori” italiani. Chi è in grado di esercitare violenza non è affatto un emarginato ma compete su mercati altamente concorrenziali. Chi ha la possibilità di esercitare la violenza, anche solo come elemento deterrente, possiede un capitale. Sono solo alcune delle riflessioni che affiorano leggendo i dati pubblicati dall'ultimo rapporto, il XIII°, di SOS Impresa.
L'economia mafiosa è un cortocircuito in cui le aziende trasferiscono risorse dall'attività d'impresa alle mafie, attraverso pizzo ed usura, le organizzazione poi reinvestono i capitali nell'economia legale. La raccolta dei proventi delle attività di narcotraffico e spaccio viene reimmessa nel sistema bancario oltre i confini nazionali e comunitari e viene in parte riutilizzata per garantire credito alle imprese in difficoltà, che spesso finiscono così per essere fagocitate e/o sostituite. Sono soldi che fanno gola in tempo di crisi ed i capitali si spostano sempre più da sud a nord, in cambio di relazioni industriali e collaborazioni imprenditoriali, scambio di know-how e facilitazioni per entrare nel tessuto economico delle aree del nord Italia.
Il monopolio della forza dello Stato non si esercita sui mercati
La realtà rappresentata oggi dall'organizzazione economica delle mafie spiazza il pensiero economico classico, secondo il quale lo sviluppo capitalistico è stato possibile solo quando i mercati sono stati sicuri. Vista dallo stivale, vacilla anche la concezione della formazione stessa dello Stato, inteso come “regno della forza”, l'insieme delle istituzioni politiche in cui si concentra la massima forza imponibile e disponibile di una società, risultato di una idea di nazione sviluppatasi per governare le relazioni sociali e i rapporti di produzione feudali nello stato patrimoniale assolutista. Lo stato-nazione è poi diventato, con la "rivoluzione industriale e con l'ideologia manifatturiera, la “comunità dei bisogni”, la regolazione capitalistica del mercato. La società prestatuale, luogo dove si formavano e si svolgevano i rapporti materiali di esistenza, è stata così sostituita da una organizzazione in cui la sicurezza è un elemento fondamentale per garantire l'esistenza dell'economia di mercato.
La criminalità è elemento strutturale dell'economia
La criminalità mafiosa non è un fattore esterno alla storia economica, alla storia politica, alla storia sociale. L'economia criminale non può essere separata dal ragionamento sull'economia in generale. Ciò che è proibito dalle leggi dello Stato non è proibito dal mercato che, da questo punto di vista, si dimostra non regolabile dalle leggi dello Stato, né dalle leggi “morali”. Se c'è una richiesta, il mercato risponde. Il "mercato" è indifferente al fatto se questa richiesta (o questo bisogno) sia legale o illegale. Il che vuol dire che non è vero che la criminalità distrugge ricchezza. Se ha tanta forza e tanto consenso è proprio perché la criminalità è uno dei fattori e della circolazione della ricchezza, non è affatto un elemento esterno al mercato. Mentre prima si riteneva che l'economia criminale riguardasse esclusivamente i beni illegali (che in qualche modo distribuivano la ricchezza), oggi bisogna prendere atto che non esiste incompatibilità tra mercati legali e mercati illegali. L'incompatibilità è solo morale e giuridica, non del mercato. Attività e traffici legali ed illegali convivono tranquillamente e sono pagati con la stessa moneta. Non c'è un euro legale o un euro illegale.
Ni Dieu, ni maître, ni l'homme
Per comprendere il fenomeno dell'economia e dell'impresa mafiosa, integrandolo nell'interpretazione dell'economia italiana, nel suo complesso, in alternativa alle categorie sociologiche e/o criminologiche, negli ultimi decenni si è fatto spesso ricorso alle categorie di impresa e di imprenditorialità, nella loro versione shumpeteriana. Da questo punto di vista le caratteristiche shumpeteriane dell'imprenditore mafioso sarebbero: a) l'aspetto innovativo, di rottura con il passato più recente, contenuto nel fenomeno dell'ingresso dei mafiosi nella competizione economica; b) l'elemento di razionalità di calcolo capitalistico presente nella condotta dell'imprenditore mafioso e nella sua operazione di recupero selettivo della cultura e dei valori tradizionali c) l'aspetto irrazionale, aggressivo, della stessa attività mafiosa, che si esprime nello spirito “animale” dell'accumulazione della ricchezza.
Dov'è l'innovazione?
Nella teoria di Joseph Shumpeter, lo sviluppo economico viene visto come il risultato dell'azione innovatrice dell'imprenditore il quale, perseguendo le sue mete individuali, contribuisce al conseguimento delle mete sociali dello sviluppo. L'imprenditore mafioso invece non ha come obiettivo il “bene comune”, mentre l'innovazione shumpeteriana è la rottura di un equilibrio produttivo, e quindi l'inizio di un processo di sviluppo economico che avviene nell'ambito della produzione, in conseguenza di eventi che mutano i vecchi sistemi produttivi. Tali mutamenti possono essere determinati dall'introduzione di un nuovo tipo di bene (o una nuova qualità dello stesso); dall'introduzione di un nuovo metodo di produzione; dall'apertura di un nuovo mercato; dalla conquista di una nuova fonte di offerta delle materie prime, o di prodotti semifiniti; dalla riorganizzazione industriale, ovvero dall'affermarsi di posizioni di monopolio, oligopolio, o dalla rottura di una di queste stesse condizioni.
Per Shumpeter le innovazioni che hanno rilievo sono quelle che comportano in generale la realizzazione di impianti nuovi, o la radicale trasformazione degli impianti vecchi. L'obiettivo dell'imprenditore è sempre il profitto. La riorganizzazione produttiva comporta sempre profonde trasformazioni sociali.
Gli imprenditori mafiosi scelgono invece sempre segmenti di mercato parassitari e meno concorrenziali, dove le barriere sono basse o addirittura inesistenti. Le relazioni di lavorosono basate su criteri clientelari e/o patriarcali. L'organizzazione economica dell'impresa mafiosa tende all'equilibrio generale, ed è generalmente caratterizzata da scarsa innovazione tecnologica. Basterebbe chiedersi perché non esistono imprenditori mafiosi che producono macchine? Perché le mafie non investono sulla produzione ed investono di più sulla distribuzione? Perché le vere imprese hanno un margine di profitto bassissimo. I mafiosi preferiscono mercati dove i margini di profitto sono molto più alti degli altri mercati legali.
Monaci ricchi e convento povero. Mafie ricche e territori poveri.
In alcune realtà la criminalità si è impossessata anche dei mercati illegali che prima si muovevano autonomamente operando fuori dalla legge, ma non erano controllati dalla criminalità. Merci contraffatte, droghe leggere, prostituzione, immigrazione clandestina, etc. Sui mercati illegali la criminalità mafiosa monopolizza e prende una parte di quel reddito che quel traffico illegale prima creava senza il controllo mafioso. La criminalità parassita quindi anche l'attività illegale.
Perché le mafie hanno successo nel nord?