Immigrazione in Slovenia, le norme di emergenza contro il diritto d’asilo

par Riccardo Noury - Amnesty International
lunedì 16 gennaio 2017

La rotta balcanica è chiusa da mesi e di nuovi migranti e richiedenti asilo lungo quel percorso terrestre che dalla Grecia arrivava fino in Slovenia, non se ne vedono più. Rimangono, in un limbo umano e giuridico oltre che al freddo polare, le ultime migliaia che riuscirono a entrare prima della chiusura.

La Slovenia però si è cautelata nel caso improbabile che la rotta balcanica venisse riaperta. Il parlamento di Lubiana è pronto ad approvare un pacchetto di emendamenti alla Legge sugli stranieri sulla base dei quali, se il governo dichiarasse i flussi migratori una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello stato, con una maggioranza di due terzi il parlamento darebbe vita a un vero e proprio regime di emergenza rinnovabile ogni sei mesi.

In base alla nuova normativa, verrebbe automaticamente negato l’ingresso in Slovenia ai migranti e ai richiedenti asilo che si presentassero alla frontiera e sarebbero espulsi quelli che riuscissero a entrare irregolarmente. Il tutto, senza esaminare le richieste di asilo né valutare il rischio di subire violazioni dei diritti umani a seguito del respingimento.

Sigillare le frontiere non è una novità: la Slovenia seguirebbe l’esempio di altri paesi dell’Unione europea come Ungheria e Austria, rendendosi responsabile di una clamorosa violazione del diritto internazionale dei rifugiati: respingere un migrante o un richiedente asilo in assenza di un procedimento giudiziario e della valutazione caso per caso dell’eventuale necessità di protezione internazionale è vietato.

La posizione geografica della Slovenia, punto di arrivo dell’ex rotta balcanica, potrebbe dare vita a respingimenti a catena: un migrante o un richiedente asilo respinto in Croazia potrebbe essere rinviato verso la Serbia, la Bulgaria o l’Ungheria, paesi dove l’accoglienza è inadeguata se non inesistente. Oppure, a partire da marzo, potrebbe finire al punto di partenza, ossia in Grecia.

E da qui, ai sensi dell’accordo del 2016 col governo di Ankara, essere rimandato in Turchia. Da dove potrebbe essere rimpatriato verso il luogo d’origine: Siria, Iraq, Afghanistan. Dal centro dell’Europa al centro della guerra in poche semplici mosse…


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