Il vino europeo paga dazio, non solo a Trump
par Phastidio
venerdì 16 maggio 2025
Dopo la minaccia di dazi sui vini europei da parte di Trump, i viticoltori hanno spinto i governi a rinviare la risposta. Ma il settore vinicolo della regione stava già affrontando una crisi esistenziale.
Dopo che Donald Trump ha minacciato un maxi dazio del 200 per cento sui vini europei, in risposta alla rappresaglia europea contro i suoi dazi su acciaio e alluminio diretta anche contro il bourbon statunitense, i viticoltori di alcuni paesi dell’Unione hanno esercitato una fortissima pressione sui rispettivi governi per convincere la Commissione Ue almeno ad attendere, prima di premere il grilletto. Azione che ha avuto successo, ottenendo un rinvio al 14 aprile. Tra i governi più attivi, si sono segnalati quelli italiano, francese e irlandese.
Più in generale, si è mosso tutto il settore agricolo, con richieste specifiche a Bruxelles di non esporre la loro filiera alle contromisure di Washington. Ovviamente, se tutti i settori si mettono a fare lobbying a questo modo, il risultato finale sarebbe la mancata applicazione di dazi ritorsivi da parte europea, il che potrebbe anche essere un interessante esperimento da libro di testo di economia.
Serbatoi pieni
Ma la viticoltura ha problemi che sono ampiamente preesistenti al ritorno di Trump e della sua politica commerciale. Un articolo di Bloomberg lo spiega con efficacia. La corsa a spedire bottiglie oltreoceano prima dell’eventuale entrata in vigore dei dazi non è riuscita a occultare la debolezza della domanda estera per i vini europei. Molti dei quali finiscono in serbatoi di stoccaggio la cui capacità si sta rapidamente saturando, e potrebbero anche essere destinati a diventare igienizzanti per le mani.
Gli acquirenti americani, d’altra parte, non vogliono correre rischi con dazi che potrebbero essere imposti già dopodomani. L’arresto delle spedizioni negli Stati Uniti sta già costando alle aziende vinicole circa 100 milioni di euro a settimana, secondo il segretario generale del Comitato Europeo delle Aziende Vinicole, noto come CEEV.
Ma, come detto, i problemi sono preesistenti: malgrado la produzione vinicola globale lo scorso anno abbia toccato i minimi da 60 anni, la domanda è in calo ancor più rapido. I giovani consumano meno bevande alcooliche, e quando lo fanno ne preferiscono di altri tipi, anche in Francia. Ma l’erosione della quota di mercato dei vini europei deriva anche dalla concorrenza di quelli provenienti da paesi quali gli stessi Stati Uniti, Australia e Cile, che stanno guadagnando popolarità grazie a prezzi competitivi e abili strategie di marketing.
Il cambiamento climatico altera poi le condizioni di coltivazione tradizionali, influendo su qualità e rese del vino. La Francia vede minacciato addirittura lo champagne, ovviamente in altra denominazione, per opera di vigneti danesi, ungheresi, giapponesi e persino inglesi.
Uno studio pubblicato su Nature ha esaminato 1.085 indicazioni geografiche del vino in Europa per valutarne la vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Mentre lo studio afferma che la vulnerabilità complessiva della regione dello Champagne al riscaldamento è moderata, le sue uve sono sensibili anche alle più lievi variazioni nel terroir, termine francese che si riferisce all’intero ambiente naturale in cui un vino viene prodotto, compresi suolo, topografia e clima. Un anno negativo — anche con una piccola fluttuazione nel range di temperatura — può generare un vino dal gusto scialbo. Un anno peggiore potrebbe vedere enormi porzioni del raccolto annuale perse o inutilizzabili.
Mitigazione temporanea o declino strutturale?
Tornando alla guerra trumpiana dei dazi, malgrado molti produttori abbiano effettuato invii massivi oltreoceano, in alcuni casi anche pari a sei mesi di fornitura, il settore affronta una crisi esistenziale, con rare eccezioni. Né è possibile immaginare di cercare mercati alternativi: lo scorso anno gli Stati Uniti hanno assorbito quasi il 30 per cento delle esportazioni europee di vino. I produttori potrebbero quindi dover adottare misure di mitigazione, come convertire il prodotto in eccesso in altri alcolici o disinfettanti, vendere vino a prezzo scontato nei supermercati o limitare deliberatamente la capacità dei vigneti per le prossime stagioni rimuovendo più piante. Lo scorso anno il governo francese ha ottenuto l’accesso a 120 milioni di euro di fondi europei per distruggere i vigneti nella misura di 3.000 ettari, il 4 per cento del totale nazionale.
La Commissione Europea ha proposto venerdì misure mirate per garantire che le vendite di vino dal blocco rimangano competitive, inclusi aiuti finanziari, azioni di marketing e persino assistenza per potenziare il turismo vinicolo che diversificherebbe le entrate. Tuttavia, potrebbe volerci del tempo prima che qualcosa di tutto ciò venga approvato, e i tempi di attuazione non sarebbero comunque brevi.
La viticoltura europea si trova di fronte a una crisi esistenziale: i dazi di Trump potrebbero farla precipitare.
(Immagine creata con WordPress AI)