Il salario medio sotto i 1.300 euro
par Paolo Borrello
lunedì 30 maggio 2011
Sono stati diffusi dall’Istat, sempre nel rapporto 2010, alcuni dati relativi ai salari e alla spesa pubblica in sostegno al reddito. In Italia le donne guadagnano il 20% in meno degli uomini. Il loro stipendio è di circa un quarto in meno di quello degli uomini: 1.131 euro, contro 1.407 euro dell'altro sesso. Nel 2010 la retribuzione media netta è stata di 1.286 euro al mese. I più svantaggiati sono risultati gli stranieri, che hanno guadagnato 973 euro al mese (il 24% in meno degli italiani), e i neoassunti, che, nei primi due anni di lavoro, hanno avuto un salario ancora inferiore di circa 900 euro al mese. I giovani riescono a portare a casa più di 1.000 euro al mese solo dopo 3-5 anni di lavoro, e, in genere, superano il tetto del 1.300 euro dopo i 20 anni di età. Mentre per gli stranieri gli stipendi, negli ultimi tre anni, sono rimasti sostanzialmente invariati sui 970 euro, le retribuzioni degli italiani sono leggermente aumentate, rispetto ai primi anni della crisi economica. Dal 2008 al 2010 le loro retribuzioni nette sono aumentate, in media, da 1.239 a 1.286 euro (+3,7%) mensili.
Nello specifico, le donne sono passate da 1.080 a 1.131 euro (+4,7%) e gli uomini da 1.361 a 1.407 euro (+3,7%). Il quadro fornito dall’Istat si fa impietoso, quando si passano ad analizzare i dati sulla spesa statale in sostegno al reddito e alle misure di contrasto alla povertà e all'esclusione. Infatti, l'Italia si è posizionata all'ultimo posto tra i Paesi dell'Ue, quanto a risorse stanziate per il sociale: in particolare, il 26,4% è andato per malattia, il 5,9% per disabilità, il 51,3% per vecchiaia, il 9,4% per sopravvissuti alla morte di un familiare, il 4,7% per famiglia, il 1,9% per disoccupazione, lo 0,1% per abitazioni e, infine, lo 0,2% per la lotta all'esclusione. Quindi le spese per il sociale sono state assorbite per il 51,3% dalla voce “vecchiaia”. Solo il 4,7% è andato alla famiglia. E ancora minore è stata la fetta dedicata ai disoccupati (1,9%).
“La maggior parte delle risorse sono assorbite da trasferimenti monetari di tipo pensionistico. Mentre quote molto residuali e inferiori alla media Ue vengono destinate alle funzioni dedicate al sostegno delle famiglie, alla disoccupazione e al contrasto delle condizioni di povertà ed esclusione sociale”, ha scritto l'Istituto nazionale di statistica, nel rapporto. Questi ultimi dati, quelli relativi alla spesa pubblica per il sostegno del reddito, non rappresentano una novità. Da molti anni ormai una delle principali caratteristiche della spesa pubblica per il sociale è proprio lo scarso peso assunto da fondi destinati ai disoccupati e alle famiglie. E’ un’“anomalia” tutta italiana. In molti altri Paesi europei si verifica una situazione molto diversa. E tale anomalia rivela tutti suoi limiti soprattutto in un periodo come quello attuale, caratterizzato ancora da una crisi economica ed occupazionale molto forte. E in parte il “rischio povertà” che contraddistingue una componente rilevante della società italiana deriva proprio da questa anomalia.