Il regista palestinese Burnat evita l’espulsione dagli Usa grazie alle cinque camere rotte
par Enrico Campofreda
venerdì 22 febbraio 2013
Come nel film, forse non peggio ma siamo lì. Per il mondo, per gli agenti della dogana statunitense un palestinese cosa può essere? Un individuo sospetto da trasformare in ostaggio, da fermare e arrestare anche senza motivo come fanno gli alleati israeliani. Un elemento da ficcare in galera alla maniera di Samer Issawi e di altri 4.520 suoi fratelli. L’avventura amerikana del regista-contadino Emad Burnat l’ha raccontata via twitter un suo collega, uno statunitense diverso qual è Michael Moore. Burnat autore del già premiato “Five broken cameras” era giunto all’aeroporto di Los Angeles per partecipare con la sua opera alla notte degli Oscar. Sebbene avesse la personale documentazione della nomination veniva fermato per accertamenti all’Ufficio Migrazione e minacciato d’essere rispedito oltreoceano. Nessuna attenzione alle carte mostrate dal regista, perché ai doganieri sembrava impossibile che un palestinese potesse partecipare alla parata hollywoodiana.
I Burnat sono del villaggio di Coppa, dove cinque anni or sono per “ragioni di sicurezza” gli israeliani costruirono un tratto del “Muro di protezione”. La barriera divide gli abitanti dalle loro terre. Una storia come migliaia e già vista anche sul grande schermo con fiction di valore: “Lemon tree” di Eran Riklis. Oppure l’interessante lavoro dell’italiano Saverio Costanzo “Private” con un superlativo Mohammad Bakri, in cui la casa, vera metafora della propria vita, è in mano all’esercito occupante che impone una presenza armata e ossessiva. È la cruda realtà che i movimenti di solidarietà con il popolo palestinese denunciano da decenni, che con i mille soprusi quotidiani intossica l’esistenza d’intere famiglie e il sentimento dei più indifesi: bambini e anziani. È la violenza che pur non macchiandosi del sangue (e non sempre), come nelle operazioni “Piombo fuso” o “Pilastro di difesa”, opprime un popolo. A compierla lo Stato che si definisce l’unica Democrazia mediorientale. Sempre coccolato dall’unica Democrazia del mondo che stavolta ha mostrato la propria magnanimità verso un palestinese. Forse perché era un regista finito “chissà come” nella parata degli Oscar.