Il punto di non ritorno

par Pier Luigi Impedovo
lunedì 18 aprile 2011

Quante polemiche per l’editoriale di Asor Rosa sul Manifesto, soprattutto a sinistra. Ed è perfettamente comprensibile capirne il perché. In sintesi l’articolo è un richiamo che l’illustre professore rivolge alle alte cariche istituzionali, in particolare alla Presidenza della Repubblica, affinché intervengano, in ogni modo, per bloccare l’avanzato processo di autodistruzione dei pilastri democratici su cui si fonda la nostra società. Parla di una democrazia che si sta dissolvendo gradualmente per via democratica e invoca una tutela della stessa appellandosi a valori democratici superiori.

Scandalo. E’ ovvio, per una sinistra ormai dormiente da un ventennio, che tali parole possano sembrare una scossa fastidiosa al fangoso torpore della connivenza. Ma basta fare alcune riflessioni per capire bene quale sia l’effettivo stato di assuefazione alla distruzione democratica. Assuefazione.

Proviamo ad immaginare se solo venti anni fa sarebbe stato plausibile o solo ipotizzabile credere che un presidente del consiglio potesse organizzare manifestazioni di pensionati o di comparse prezzolate e semianalfabete, con l’avallo delle forze dell’ordine, inneggianti alla distruzione del potere giudiziario; o sempre che un presidente del consiglio potesse autoassolversi con proclami eversivi in piazza dalle accuse in essere durante un processo in corso nelle contigue aule giudiziarie. O se sarebbe stato pensabile anche la semplice pronuncia di affermazioni quali “i giudici sono disturbati mentali” e “vanno puniti” o che la stessa magistratura sia un’istituzione contro la libertà, antidemocratica, anticostituzionale e così via. Sarebbe forse stato plausibile e possibile solo pensare che un individuo, già padrone del linguaggio e dell’informazione mediatica, potesse entrare in politica solo per sfuggire alle gravissime condanne che pesavano e pesano su di lui e che gli sarebbe stato consentito indisturbatamente di scardinare giorno per giorno, per un ventennio consecutivo, tutte le fondamenta costituzionali di garanzia democratica relative alla giustizia, all’informazione, alla cultura, all’istruzione pubblica, all’unità della nazione, allo stato sociale e allo stato di diritto?

Venti anni fa, se qualcuno ci avesse illustrato la situazione attuale, avremmo semplicemente riso per l’assurdità, ci saremmo rifiutati soltanto di concepirla. Eppure oggi siamo assuefatti, abituati, amorfi, indifferenti, rassegnati, incapaci di reazione di fronte a tale aberrazione culturale e istituzionale. Come ci siamo arrivati? Pochi giorni fa Napolitano ha parlato di lungimiranza della carta costituzionale. Quella lungimiranza dei Padri Costituenti nasce proprio dalla storia, dall’essere, in quel tempo, appena usciti da un periodo di aberrazione e atrocità morale che ci aveva trascinato nel baratro.

Perché gradualmente, pezzo per pezzo, stiamo accettando di rientrare in quel baratro consentendo lo sgretolamento del pilastro costituzionale tanto faticosamente costruito?


Ebbene le condizioni affinché questo sia stato e sia possibile sono due. La prima è legata al concetto stesso di democrazia. Il potere al popolo, quel potere che oggi, da questi tribuni da avanspettacolo, viene tanto sbandierato come legittimante l’impunità. Non è forse un’illusione questo potere dato al popolo? Oppure è forse lecito credere che se le masse non fossero state tanto facilmente condizionabili non gli sarebbe stata concessa la facoltà di votare? Il popolo decide veramente? O la cosiddetta democrazia è solo una copertura del potere atta a dare solo un’illusione della libertà? Non è forse solo un esercizio operato dal potere solo per auto assolversi e autocelebrarsi ed autoconsacrarsi? E se torniamo indietro non tanto lontano, ma proprio nel neo celebrato Risorgimento, abbiamo forse visto la partecipazione delle masse ai movimenti o alle decisioni di unificazione dell’Italia? Le masse sono sempre state inermi. Assuefatte a qualsiasi potere e qualsiasi dominio. Gramsci relegava gli intellettuali ad essere interlocutori con le masse, e li incaricava di trasmettere quell’egemonia culturale che mai le masse avrebbero incamerato in modo autocosciente. Oggi tale egemonia è esercitata con strumenti molto più potenti e serve a governare le masse ed ad indirizzarle dove il potere vuole. E la destra ha fatto culturalmente proprio questo concetto gramsciano per monopolizzare l’illusione democratica. Quindi la prima condizione è proprio questa debolezza della democrazia, questa illusione. Non è certamente un caso che nei primi cinquant’anni della nostra storia Repubblicana siamo stati sull’orlo del colpo di stato in svariate circostanze, che i servizi segreti, associazioni e logge occulte abbiamo dato sempre indirizzi fondamentali operando nell’ombra della cosiddetta illusione democratica, che la strategia della tensione e della paura abbia quasi giustificato questa sottomissione all’emergenza continua. E non è forse ancora la paura a governare questa illusione democratica? Non è forse la paura dell’immigrato, o la paura dei comunisti o dei cosacchi, o la sbandierata paura di perdere qualche illusoria certezza che viene chiamata genericamente libertà che consente al potere di autotutelarsi?

Veniamo alla seconda condizione che ha consentito questo degrado culturale e istituzionale. La connivenza attiva e passiva della cosiddetta sinistra. Non sono stati forse i D’Alema, i Violante, i Fassino a scendere per primi a patti (quasi venti anni fa) con questo contropotere affaristico emergente? In bicamerale (quella sorretta dall’appoggio cossighiano) non si parlò già di indebolimento della magistratura, di divisione della stessa, di Csm asservibile all’esecutivo, di responsabilità penale dei giudici? Non sono stati forse loro ad ispirare questa controriforma della giustizia? Non sono forse gli stessi, che ora in modo ridicolo leggono la Costituzione in aula come segno di opposizione e che responsabilmente e premeditatamente hanno contribuito a disintegrare, coloro che garantirono all’allora emergente contropotere affaristico l’inviolabilità e la preservazione dello strumento di condizionamento delle masse per eccellenza, le televisioni? Non è forse Fassino che da venti anni ripete che la priorità non fosse e non sia il conflitto di interesse? Non è forse dalla mancata risoluzione di questo conflitto che deriva il disastro e l’assuefazione cui siamo ora giunti? Non sono forse gli stessi di allora quelli che hanno per primi scardinato la Costituzione inoculando il germe secessionista di un federalismo i cui effetti devastanti vedremo a brevissimo termine. E non solo effetti di tipo economico. Non sono forse gli stessi che addirittura si vantano di averci condotto alle soglie della disgregazione e frammentazione in nome di interessi localistici? Non sono forse sempre loro che hanno avallato le cosiddette privatizzazioni che hanno consentito la concentrazione nelle mani di pochissime persone di quei beni che gli italiani avevano già pagato da un pezzo, a partire dalle autostrade per arrivare alle telecomunicazioni, passando per aeroporti e ferrovie? E nel farlo, consentendo lo scaricamento dei debiti da scatola cinese di questi personaggi ignobili (che si spacciano per imprenditori) sulle tasche degli italiani ignari ed indifesi, attraverso l’applicazione senza controllo delle tariffe? E non sono sempre loro i responsabili del depauperamento delle risorse e tecnologie strategiche e più preziose a discapito della collettività e dell’interesse comune. Alla faccia dell’essere di sinistra. Altro che comunisti. E non sono sempre loro, con le loro assenze a far passare gli scudi fiscali o a difendere l’impunità della casta? E non sono sempre loro ad aver svenduto l’applicazione della legge con il famigerato indulto che ha consentito al condannato eccellente Previti, gran corruttore nel nome del principe, a non trascorrere neanche un giorno in carcere?

Eppure questi indecenti ed impresentabili personaggi, responsabili in prima persona delle sconfitte, delle concessioni, del depauperamento degli italiani, del saccheggio del bene comune, del degrado morale e culturale, questi personaggi dalla spregiudicata connivenza, dalla limitata capacità strategica, dalla colpevole complicità, sono ancora là. E hanno anche la pretesa di rappresentare l’opposizione, proprio loro che sono stati i responsabili del progressivo accrescimento di questo contropotere. Adesso timidamente si indignano, con le medesime facce, segnate dalla malafede e dall’inganno perpetrato, senza vergogna si deresponsabilizzano da ciò che hanno loro stessi prodotto. E si chiedono, con una faccia tosta che potrebbe essere interpretata per strafottenza verso il potenziale elettorato, perché non rappresentino più un’alternativa credibile. Finchè questi personaggi non verranno spazzati via e scaraventati fuori dai luoghi di rappresentanza istituzionale la corsa verso il baratro sarà inarrestabile. Per questo non si può non dare atto ad Asor Rosa di aver dato una scossa ed un segnale forte. Il suo è un monito appassionato che vuole ricordarci che esiste un punto di non ritorno. E che se vogliamo sopravvivere a questa nuova ondata di barbarie e non precipitare nel baratro prima che sia troppo tardi, è lecito chiedere un intervento superiore che provenga dalle stesse istituzioni democratiche che non solo hanno il dovere di tutelare se stesse ma anche l’intero interesse della collettività. Altro che golpe.


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