Il pene di Marco Aurelio voluto da Berlusconi è stato tagliato (a suon di migliaia di euro)

par Fabio Della Pergola
sabato 30 marzo 2013

C’è gente che si vede confiscare la casa o mettere sotto sequestro l’auto per qualche centinaia di euro di imposte non pagate. Lo sappiamo dalle numerose notizie di cronaca, a volte molto dolorose quando non addirittura scioccanti, per le conseguenze tragiche che si leggono.

Lo Stato su queste questioni diventa implacabile e non guarda in faccia nessuno.

È un po’ meno implacabile, si sa, quando il denaro pubblico viene dilapidato per le più svariate e incongrue spese finite sotto la voce "costi della politica"; così abbiamo visto lievitare a livelli ingiustificabili i rimborsi elettorali spettanti ai gruppi politici delle Regioni, dove perfino le caramelle del Trota venivano fatte passare per "spese di rappresentanza". Per non parlare dei vari Lusi o Fiorito che della dilapidazione del denaro pubblico per fini personali avevano fatto un’arte.

Non di sperpero (forse) ma di “supreme” ragioni artistico-culturali, anche se incomprensibili ai più, si deve parlare invece nel caso della Presidenza del Consiglio che decise di investire oltre 70mila euro (cioè lo stipendio lordo annuo di due-tre persone o di una decina di precari) per ri-mettere (e poi ri-muovere) l’organo maschile ad una statua romana di epoca antonina.

L’azione 'ricostruttiva' di quelli che sarebbero stati poi ribattezzati i “Peni Culturali”, secondo quello che riporta l'ironico cronista, fu a suo tempo sollecitata dall’ex premier Silvio Berlusconi che era rimasto affascinato dal gruppo marmoreo rappresentante l’imperatore Marco Aurelio e la moglie Faustina nei panni di Marte e Venere, ma, forse per problematiche di carattere psicologico, anche colpito se non addirittura angosciato dalla mancanza di quel particolare fisico probabilmente caduto per cause naturali data l’età (parlo della statua, sia chiaro), o martellato via in uno di quei momenti di furore moralista che colpirono a più riprese la Roma papalina nel corso dei secoli.

Il "restauro" - cioè il "riempimento" dell'angosciante vuoto lasciato dalle parti mancanti tramite inserimento di parti nuove finto-antiche - fu realizzato in tempi brevi ad un costo però niente affatto indifferente, mentre fuori di lì la crisi economica già mordeva di brutto.

Il de-restauro pare che sia invece costato molto meno, pur avendo impegnato prima dell’azione di rimozione una Commissione “formata da Giovanna Bandini di questa soprintendenza archeologica, dalla direttrice dell’Istituto centrale del Restauro, da un chimico e da Lucilla De Chenal della Direzione centrale delle Antichità”. Mica scherzi: un insieme di belle menti e di capacità professionali di altissimo livello impegnate (a spese della collettività) per rimuovere il pene finto-antico inserito per riempire l'insopportabile vuoto del marmoreo vero pene, finito forse come fermacarte sulla scrivania di qualche buontempone.

Insomma, l’angoscia di castrazione di Qualcuno è stata sedata provvisoriamente dalla mano pubblica, con non pochi soldi anch’essi pubblici.

Ripeto per chi avesse pensato di aver letto male: il precedente capo del governo ha fatto spendere ad uno Stato virtualmente già in bancarotta la bellezza di settantamila euro per avvitare un 'coso' fasullo ad un'antica statua di marmo. Per poi farlo smontare dal suo successore.

Adesso si attende che anche l’ansia di vivere dei molti devastati da Equitalia o dall’Agenzia delle Entrate venga calmierata dal generoso intervento dello Stato che, se ha pagato 70mila euro per un pene di marmo caduto, dovrà pur pagare almeno altrettanto gli umani peni, anch’essi presumibilmente in diffusa “caduta”, causa crisi.

Perché, come si sa, “lui” non vuole pensieri e qui di pensieri ce ne sono parecchi. Pure troppi.

 

 

La statua in originale e poi con il pene berlusconiano.

 


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