Il pasticcio di Esposito le possibili conseguenze

par Aldo Giannuli
giovedì 8 agosto 2013

Ho ascoltato la registrazione dell’intervista al Magistrato Antonio Esposito sulla sentenza di conferma della condanna a Berlusconi: effettivamente il testo non dice che Berlusconi sapeva, ma fa un esempio generale, affermando che, in sede giudiziaria, il principio logico del “non poteva non sapere” vale solo se sappiamo di qualcuno che, in qualche modo, lo ha informato.

In sé, nulla di scandaloso; e dire che ha affermato che sappiamo che qualcuno aveva informato Berlusconi è una manipolazione del suo pensiero. Detto questo, lo stesso è una frittata e pure grossa.

In primo luogo perché è una cosa fuori dal mondo che un magistrato, per di più di legittimità, parli della motivazione di una sentenza e prima ancora che sia scritta. Va bene che ormai i magistrati italiani sono convinti di stare a San Remo e non ci risparmiano esternazioni (iniziò, nel 1993 l’indimenticabile Francesco Saverio Borrelli), però un numero di varietà del genere non lo avevamo ancora visto.

Ovviamente, la cosa suona alle orecchie dei sostenitori del Cavaliere come la prova provata del complotto ed indebolisce la credibilità della sentenza anche agli occhi degli indecisi e dei “neutrali”. E poco importa che Esposito non abbia detto esattamente quello che gli viene attribuito, magari grazie ad una montatura: quello che conta è l’effetto mediatico per il quale, nella testa degli italiani si rafforza il sospetto di un giudizio poco sereno.

E, per di più questo accade in un processo che presenta diverse fragilità.

Capiamoci: non mi assale il dubbio che Berlusconi sia innocente. Un simile sospetto non mi passa per l’anticamera del cervello come, credo, non alligni nella mente della maggioranza degli italiani. Il problema è un altro: la fragilità della prova e il labile confine fra reato proprio ed abuso del diritto. Diciamocelo francamente: l’operazione fraudolenta c’è stata certamente, ma un pezzo di carta con una firma di Berlusconi che la autorizza non c’è. E non c’è neppure nessuno che dica “Quel giorno il Cavaliere venne da me a dire che dovevo far così” oppure “avvertii il Cavaliere di quell’operazione ma lui fece orecchie da mercante”.

Vedremo cosa scriveranno in motivazione di sentenza i supremi giudici, può darsi che il convincimento di colpevolezza dipenda da una combinazione logica di indizi ed elementi indiretti, ma non mi pare che esista una prova così diretta ed esplicita da poter esser sbandierata. Siamo molto sul bilico fra l’assoluzione dubitativa e la condanna al margine estremo della prova.

C’è poi lo scivolosissimo tema della natura giuridica del fatto: se reato pieno (frode) o abuso del diritto (elusione) ed in dottrina esiste un dibattito accesissimo se l’abuso del diritto sia da considerare alla stregua di reato o meno. Per di più, nel quadro delle regole della globalizzazione, la cosa è resa ancora più ambigua e suscettibile di interpretazioni diverse.

E, per essere sincero, credo che, ad una indagine approfondita, pochissimi grandi gruppi internazionali avrebbero le carte in regola. E Coppi che, a differenza di Ghedini, il mestiere lo sa, ha puntato su questo argomento per cui il fatto c’è ma non costituisce reato e se esso fosse stato usato nei primi due gradi di giudizio, avrebbe creato più di un imbarazzo all’accusa.

Dunque, siamo su un crinale molto labile sia in tema di prova che di caratterizzazione del fatto. Non si può dire che la sentenza sia ingiusta o infondata, ma neppure che sia solidissima. È giusto sul limite fra l’accettabile ed il forzato. Ovviamente, non avendo a disposizione il fascicolo processuale, scrivo sulla base di quello che è stato possibile sapere attraverso la stampa.

Ma, alla fine, la discussione in punto di diritto lascia il tempo che trova. La legittimità sostanziale della condanna dipende da un’altra cosa: dalla guerra scatenata dal Cavaliere che ha travolto ogni principio di Stato di Diritto. Sono un convinto garantista e ritengo che lo Stato ed il suo potere giudiziario debbano restare fedeli alle proprie regole, anche nei confronti del più spudorato accusato del reato più infame. Ammetto che il garantismo non debba venir meno neppure qualora l’imputato minacci i testimoni, sottragga e falsifichi prove, e persino se cerchi di corrompere i magistrati: ugualmente lo Stato non può derogare alle sue leggi e deve essere in grado di condannare il colpevole sulla base di prove certe e con procedure conformi alla legge.

Ma tutto questo non vale se ci troviamo davanti ad uno che, disponendo di una maggioranza parlamentare, la usi per risolvere le sue personali pendenze giudiziarie, depenalizzando i reati di cui è accusato. Con questo criterio nessun reato è più perseguibile e questo non è ammissibile.

Il garantismo protegge efficacemente tutti all’interno delle regole dello Stato di Diritto, ma se queste regole vengono travolte è giusto chiudere l’ombrello del garantismo e il responsabile non si lamenti qualora poi si imbatta in giudici pronti a condannarlo appena ciò sia possibile, senza farla proprio sporca.

Sono pronto a difendere le garanzie processuali per Riina, Priebke, persino per Eichmann o di Bin Laden (qualora visessero), ma non quelli di uno che ha spezzato le premesse dello Stato di Diritto. E se una corte di magistrati ha lavorato sulla soglia minima necessaria pur di condannarlo, assumo la responsabilità morale di dire apertamente che hanno fatto bene.

Però, se poi qualcuno scopre il fianco in questo modo, la cosa rischia di non reggere.

Le conseguenze sono essenzialmente tre: 

  1. In primo luogo, dopo questo infelicissimo show, se Napolitano trova uno spiraglio per concedergli la commutazione della pena, gli italiani pronti a scandalizzarsi sarebbero molto meno.
  2. In secondo luogo, questo dà una carta molto forte a Coppi per un ricorso alla Corte europea che, forse darebbe ugualmente torto al Cavaliere, ma che determinerebbe comunque uno sputtanamento internazionale dell’Italia.
  3. In terzo luogo, questo spinge fortemente verso elezioni anticipate a breve e questo, stante la ripetuta indisponibilità del M5s, significa che al 99% voteremmo con il Porcellum.

Foto: J: Mosbough/Flickr


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