Il pareggio del bilancio pubblico non è un obbligo

par Paolo Borrello
mercoledì 17 agosto 2011

Si discute molto dei contenuti della manovra finanziaria varata con un decreto dal Governo ma viene trascurata una questione, a mio avviso, di estrema importanza: è proprio necessario raggiungere il pareggio di bilancio? E poi, è indispensabile che addirittura si inserisca nella Costituzione l’obbligo di mantenere il bilancio in pareggio? Indubbiamente in un paese come l’Italia, contraddistinto da un elevato rapporto tra debito pubblico e Pil (prodotto interno lordo), si deve tenere sotto controllo la situazione dei conti pubblici. E’ del tutto evidente che se si verificano, costantemente, elevati disavanzi del bilancio delle pubbliche amministrazioni è molto difficile che si riesca a ridurre notevolmente, come necessario, quel rapporto. Peraltro per poterlo diminuire, senza intervenire sul Pil, occorre che si verifichi un avanzo primario di una certa consistenza, cioè un saldo positivo tra le entrate e le spese pubbliche, spese da cui devono essere detratti gli oneri per gli interessi pagati sul debito. Tale avanzo primario dovrebbe essere, inoltre, percentualmente, più alto del tasso di interesse medio che viene corrisposto a quanti acquistano i titoli del debito pubblico. Ma per ridurre, in periodi non molto lunghi, il rapporto tra debito pubblico e Pil, non si può prescindere dall’intervenire sul denominatore di quel rapporto, sul Pil cioè, realizzando interventi che consentano di far crescere notevolmente quanto si produce in un determinato paese.

E tale considerazione assume una particolare validità per l’Italia che da anni è stata contraddistinta da tassi di incremento del Pil molto bassi, quando il Pil cresceva, più bassi di quelli che hanno caratterizzato altri paesi. E ora che il Pil ha ripreso, almeno per il momento, ad aumentare, il tasso di crescita italiano è molto basso, non raggiunge nemmeno l’1%. Peraltro le previsioni per il futuro non lasciano ben sperare. Le stesse caratteristiche della manovra del Governo determineranno, molto probabilmente, effetti negativi sul Pil. Di qui la richiesta avanzata da molti, ma non accolta dal Governo, di prevedere non solo interventi volti a ridurre il disavanzo pubblico ma anche interventi tendenti a stimolare la crescita economica. Quindi conti pubblici contraddistinti da un disavanzo piuttosto contenuto, ma non in pareggio, sono compatibili con una riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil, se si riesce ad ottenere una crescita economica molto sostenuta che, tra l’altro, potrebbe garantire un aumento dell’occupazione.

Tali considerazioni, inoltre, inducono a ritenere che non sia opportuno inserire nella Costituzione l’obbligo del pareggio costituzionale. Anche alcuni economisti piuttosto noti si sono dichiarati quanto meno perplessi sulla necessita di tale obbligo. Francesco Giavazzi, ad esempio, ha dichiarato in un’intervista rilasciata a www.linkiesta.it: “Sulla questione ci sono due aspetti importanti da considerare. Il primo è il fattore del ciclo economico. Occorre capire se il pareggio è al netto o no del ciclo economico. Che significa? Che l’economia attraversa varie fasi. Di espansione e di recessione. In una fase di recessione, come questa, le spese aumentano e le entrate diminuiscono. Questo è un punto su cui occorre tenere una certa prudenza, e il rischio è che il vincolo diventi troppo stretto, imponendo tagli eccessivi e alla lunga controproducenti.” Giavazzi ha poi aggiunto che occorre verificare se fra le spese da considerare fra quelle che contribuirebbero a determinare il pareggio di bilancio, previsto in Costituzione, ci debbano essere o meno gli investimenti pubblici. Infatti gli investimenti pubblici sono molto importanti perché, fra l’altro, possono causare notevoli effetti espansivi sul Pil.

Quindi gli investimenti pubblici non dovrebbero subìre alcun limite. In realtà il Governo italiano è stato spinto a varare una manovra che consentirà di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, e non più nel 2014, e a ipotizzare l’obbligo costituzionale del pareggio per “tranquillizzare” i mercati finanziari, nell’ambito dei quali, negli ultimi periodi, si è manifestata una vera e propria crisi di fiducia nei confronti del sistema economico del nostro paese, anzi soprattutto nei riguardi dello Stato italiano, di chi lo governa attualmente, ritenuto incapace di affrontare i principali problemi economici e finanziari dell’Italia. Del resto interventi simili volti a “tranquillizzare” i mercati finanziari sono stati realizzati, o verranno realizzati, anche in altri paesi europei ed extraeuropei. Ma, a questo punto, occorre tenere presente un’altra questione: in seguito alla crisi iniziata nel 2008 sarebbe stato necessario, in Europa e negli Stati Uniti, regolamentare, in misura molto maggiore di quanto avviene ancora oggi, il sistema finanziario. Non lo si è voluto fare. E, attualmente, se ne pagano le conseguenze. I sistemi economici, i governi, spesso sono in balìa di soggetti che operano nel sistema finanziario, i quali oggettivamente continuano a disporre di un potere eccessivo, che andrebbe ridotto.

 

 


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