Il paese più sessista d’Europa

par Damiano Mazzotti
venerdì 3 dicembre 2010

âMa le donne noâ è il libro più trascurato del 2010 poiché racconta come si vive male nel paese più maschilista del mondo occidentale (Caterina Soffici,www.feltrinelli.it, 2010).

Gli uomini lottano per il potere, le donne possono cambiare il mondo.

âIl potere dellâamore può sconfiggere lâamore per il potereâ. (Jenni Williams, attivista)

 

Non occorre molto tempo per comprendere lo stato pietoso in cui si trova la società italiana. Ogni giorno si succedono “Storie, tabelle, dati, sfilze di numeri che descrivono le donne ultime in tutto: in politica, negli uffici, nei ruoli di potere, nei consigli di amministrazione. Mogli sottomesse, lavoratrici discriminate, mobbizzate, donne che lasciano il lavoro alla nascita dei figli… Donne precarie senza uno straccio di legge che tuteli la loro maternità e i loro diritti” (p. 16).

Le donne guadagnano il 26 percento in meno dei colleghi maschi, mentre gli uomini hanno 81 minuti di tempo libero in più e quindi è come se “avessero due mesi di ferie in più rispetto alla donne”. Bisogna poi considerare che più del 70 per cento degli italiani (uomini e donne), “non sa neppure che certi comportamenti sono illegali. Spesso la prima domanda che viene fatta a una donna durante un colloquio di lavoro è: sei sposata, hai intenzione di fare figli? In America basta questo per ricorrere a un giudice e far partire una richiesta di risarcimento danni”. Forse basterebbe suggerire alle donne di smettere di sculettare e di iniziare a muoversi nel modo giusto con un bel registratore in tasca, così i soliti maschi inizierebbero a tenere la coda tra le gambe.

Del resto il mondo della politica respinge e immobilizza le donne in un angolo: in circa il 20 per cento dei comuni, delle provincie e delle regioni non c’è nemmeno una donna. Nel Parlamento la presenza delle donne è inferiore al 20 per cento e questo dato ci colloca agli ultimi posti in Europa. Anche per questo motivo in Italia è ancora diffusa l’abominevole richiesta di firmare la dichiarazione in bianco di dimissioni volontarie, contestualmente alla lettera d’assunzione (verrà poi utilizzata in caso di maternità o di malattia prolungata).

E come mai la norma che impediva le “dimissioni in bianco” tramite la registrazione telematica è rimasta in vigore soltanto tre mesi? A quanto pare il governo del più grande estimatore e amatore dei servizi femminili ha deciso per la sua abolizione. E anche la legge della Prestigiacomo sulle “quote rosa” in politica non ha avuto maggior fortuna. In Italia siamo sempre in ritardo nell’applicare il principio della differenza che giudica giuste, eque e accettabili le disuguaglianze che avvantaggiano i gruppi più svantaggiati di cittadini (John Rawls, Una teoria della giustizia).

Caterina Soffici è convinta che “le donne in Italia non lottano più perché, convinte di essere libere, pensano non sia più necessario. Chi invece si indigna e vuole reagire non ha più gli strumenti per farlo, non si sono più fatte leggi per reagire”. Ma forse si tratta prevalentemente della generale pigrizia intellettuale e morale dei cittadini italiani e del buon senso che preferisce farsi fottere in cambio del quieto vivere…

Naturalmente ci vuole molto “tempo per cambiare la mentalità di un popolo. Ma ci vogliono le leggi per intervenire su una cultura popolare secolare. Basti pensare a quanto sono recenti alcune di queste conquiste: l’abolizione del delitto d’onore è del 1981. Lo stupro è diventato un delitto contro la persona e non più contro la morale solo nel 1996. Il retaggio era pesante… E solo le leggi possono porre dei paletti, dei limiti oltre i quali non si può andare” (p. 19).

Il rinnovamento culturale e politico italiano sarebbe facilitato da un sincero “mea culpa” delle gerarchie cattoliche della burocrazia religiosa capitolina, per il primitivo lavaggio del cervello che da troppi secoli impongono alle donne, alle ragazze e alle bambine, costringendole inconsciamente al ruolo di comparse o di sottomesse.

Ma oggigiorno le responsabilità maggiori sono da attribuire alla Tv e alla pubblicità: i comportamenti indotti dalla pubblicità volgare e sessista “sono talmente potenti che non solo le ragazzine, ma addirittura le donne mature, le quarantenni e le cinquantenni, si vestono come prostitute senza rendersene conto” (Ico Gasparri, fotografo). L’attuale pubblicità italiana si può definire come “l’evoluzione del puttanone da calendario del camionista, che diventa superchic ma non cambia la sostanza del messaggio”. Per avere un’ulteriore conferma è sufficiente visionare il sito www.ilcorpodelledonne.net di Lorella Zanardo, autrice di un bellissimo documentario.

Inoltre c’è il grande problema degli amministratori e dei dirigenti tradizionalisti che non vedono di buon occhio offrire posti di lavoro part-time, quando in Europa è un rapporto di lavoro molto diffuso. Per fortuna nel libro si riporta anche l’esempio delle fortunate lavoratrici dell’Ikea, che sono riuscite a trovare un ambiente di lavoro a misura di donna anche in Italia. E viene citato il ministro tedesco della famiglia che ha finanziato l’apertura di nuovi asili con posti gratis per tutti i bambini. E noi siamo rimasti all’età della pietra e dei gessetti e ci affidiamo ai nonni e al loro modo di fare da vecchietti. L’Italia è il paese più vecchio del mondo e i pregiudizi educativi sessisti in questo modo si diffondono più velocemente dei virus. In un certo senso le nonne sono le peggiori amiche delle donne.

Comunque nei paese civili si è affermato il principio secondo cui “l’impresa riconosciuta colpevole di discriminazione deve essere sanzionata al di là della compensazione finanziaria dovuta alla vittima”. Per esempio negli Stati Uniti si è deciso di escludere dai contratti pubblici le imprese condannate, mentre in Italia esiste una normativa simile da parecchi anni, ma non è mai stata applicata, seguendo il classico lassismo metodico degli italiani pigri e ruffiani.

Caterina Soffici vive a Milano e si occupa di cultura e attualità per “il Riformista” e “Vanity Fair”. In passato ha collaborato con “la Repubblica”, “Italia oggi”, “L’Indipendente”, Rai due, Radio3, ecc.


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