Il non-lavoro "smobilita" anzi... distrugge

par Virginia Visani
sabato 10 gennaio 2009

“Chi non lavora non mangia” dicevano i nostri avi. “Chi non lavora non fa l’amore” cantava Adriano Celentano. E adesso che il lavoro viene a mancare, che la possibilità di perderlo rende ansiosi, toglie il sonno e annulla ogni certezza, che cosa è diventato?
 
Un saggio di Serena Zoli, giornalista e scrittrice, mette in luce quello che tutti avvertiamo, senza tuttavia averne piena consapevolezza, come un pericolo sociale. Con “Il Lavoro smobilita l’uomo” (Longanesi Editore) l’autrice, osservatrice dei fenomeni psicologico-sociali del nostro tempo, analizza le trasformazioni che il lavoro ha subito negli ultimi decenni e suggerisce un’idea di cambiamento.
 
 
 
Com’è cambiato il lavoro negli ultimi 50 anni?
Più che negli ultimi 50 anni è impressionante come sia cambiato negli ultimi 20 anni. Un mutamento repentino e radicale che ci ha portato, come dice il sottotitolo del mio libro, con una "rapida svolta dall’orgoglio alla paura in una società precaria". Lo Statuto dei lavoratori è del 1970 e sanciva diritti, tutele, dignità del lavoratore come mai era stato e si pensava fosse scritto nella roccia: un punto di non ritorno. Ma da metà degli anni ’80 il lavoro si "corrompe", viene sminuito e livellato da un’economia che da produttiva ora punta soltanto sulla finanza (i soldi che fanno i soldi), poi col 1997 e il "pacchetto Treu" si apre la porta al lavoro a termine. Che dilaga sempre più: L’art. 18 dello Statuto è ancora là, ma le nuove forme di lavoro lo eludono. Niente più tutele. Precariato. Flessibile non è il lavoro, flessibili devono essere le persone. E le loro vite.
 
Da “nobilita” a “smobilita”: che cosa è successo?
Il detto "Il lavoro nobilita l’uomo" è antico, ma aveva raggiunto il massimo della sua realizzazione negli anni ’60,’’70,’ 80 del Novecento, la cosiddetta ’golden age’ del capitalismo, ma anche del lavoro. Allora col massimo delle tutele e garanzie mai ottenute, il lavoro lo si cerca non più solo per bisogno, ma per ’realizzarsi’. Spunta allora questa parola, e la sua forza è quanto mai evidente nel movimento delle donne. Le donne cercano e vogliono il lavoro fuori casa a tutti i costi: rappresenta autorealizzazione appunto, ma anche libertà, protagonismo sociale, identità. Ecco come il lavoro ’nobilita’. Dopo, oggi, il lavoro ’smobilita’ l’uomo in senso esterno perché lo manda a casa in disoccupazione, in cassa integrazione, tra un contratto di qualche mese e l’altro. E lo ’smobilita’, nel senso di scassarlo, internamente. Il lavoro precario ’fragilizza le psicologie’, dice Luciano Gallino; "corrode la personalità" rincara l’altro sociologo Richard Sennett.
 
Si può fare qualcosa perché il lavoro torni ad essere quella parte importante della vita? O siamo invece destinati alla disaffezione?
Qualcosa va fatto da parte di quanti governano (o, come s’è visto, non governano l’economia), ma ci vorrebbe proprio la sfera di cristallo per sapere che forme prenderà il lavoro in futuro e - altro punto fondamentale - se ce ne sarà per tutti.
 
Il “tempo libero” ha ancora un significato, o non siamo invece destinati ad averne troppo?
Il ’tempo libero’ così come lo conosciamo è nato quando è nato il lavoro come lo concepiamo oggi: con la rivoluzione industriale. Prima il tempo libero e il tempo di lavoro erano mischiati nell’insieme della vita quotidiana. Ora il tempo libero ha superato di gran lunga il tempo di lavoro, ma con gli orari che sono sempre più flessibili, col computer che ti porta l’ufficio in casa, con cellulari, mail, palmari che ti rendono sempre reperibile non si sa bene cosa diventerà il tempo libero. In molti settori - e non solo agli alti livelli - il lavoro invade sempre più il campo del tempo di non-lavoro. Ci sarà da fare i conti con queste nuove divisioni o non divisioni tra tempo occupato e tempo libero. Un mix che non sarà facile da gestire.
 
Che cosa pensi della proposta di equiparare l’andata in pensione a 65 anni per uomini e donne?
Purché le donne abbiano gli stessi stipendi, le stesse opportunità di carriera, gli stessi trattamenti degli uomini (il che ora non è), non trovo da obiettare all’idea che 65 anni sia l’età pensionabile per ambedue i sessi. 
 

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