Il mito di Papa Francesco

par Antonio Moscato
martedì 21 maggio 2013

Dispiace trovare ogni tanto su un giornale della borghesia un invito al realismo come quello che ci ha dato oggi Vittorio Messori sul Corriere della sera.

 

Ieri sul maggior giornale della borghesia un clericale colto e intelligente, Vittorio Messori, ci ricorda alcuni elementi essenziali utili per ridimensionare l’ubriacatura per il “papa progressista”, che ha già fatto parecchi danni e molti ne farà soprattutto nella sua America Latina. Naturalmente non è questo il suo scopo, ma solo quello di ridicolizzare l’ignoranza dei commentatori affascinati dal nuovo papa, tuttavia può esserci ugualmente utile.

Messori insiste soprattutto sulla assenza di novità teologiche nella predicazione del nuovo papa. Facile ridicolizzare chi si è commosso per banalità studiate, come il salutare con un semplice “buonasera” i fedeli raccoltisi in attesa del cosiddetto “evento”. Naturalmente Messori non dice come mai e da chi è stata creata artificialmente tanta attesa per una elezione che riguarda in realtà una piccola parte degli italiani che si dicono cattolici (quelli che praticano questa religione quando e come gli pare più comodo): non una parola sul martellamento della stessa TV di Stato per presentare l’avvenimento come fondamentale, attirando migliaia di persone ansiose di fotografare la fumata bianca (come si fotografa un incidente aereo, o un’inondazione o il crollo di un edificio, o un funerale) solo per poter dire “io c’ero”.

Messori ridicolizza in primo luogo gli “anticlericali ben noti” che si sono detti commossi per il primo “buonasera” o per il successivo “buon pranzo”, ma anche perché il nuovo papa ha preferito tenere le vecchie scarpe comode che portava ai piedi senza indossare le scarpette rosse d’ordinanza per i papi, o perché ha mantenuto sul petto la sua croce argentata (anziche indossare una delle migliaia di croci d’oro massiccio a sua disposizione nei forzieri vaticani, e che nessuno si sogna di vendere per aiutare i “poveri”, aggiungo io…).

Messori prosegue facendo un lungo elenco di uomini di chiesa, prevalentemente piemontesi come lui, impegnati ad “alleviare le sofferenze” dei poveri. Lasciando naturalmente poveri i poveri, e dando ai ricchi la coscienza più tranquilla per aver contribuito a finanziare con modica spesa quei “tranquillanti” o “ammortizzatori” sociali. Cita il Cottolengo che “accoglie i rifiuti della società”, don Bosco che si impegna a educare i figli dei proletari, e tanti altri. Tutti rigorosamente conservatori, sottolinea, dal punto di vista teologico e politico.

Niente a che vedere con la “teologia della liberazione” che voleva aiutare i poveri a organizzarsi, e che giustamente il vescovo Bergoglio non apprezzava. Messori allude eufemisticamente alla questione scrivendo: “Significativo il confronto polemico tra padre Bergoglio e i suoi stessi confratelli gesuiti attirati dalle ideologie della Teologia della Liberazione, ispirata al marx-leninismo”. In realtà sappiamo come si comportava quando quei confratelli entravano in conflitto con le autorità: si veda ad esempio quanto scrivevo a caldo: Il papa argentino: retorica e problemi reali e Verbitsky contrattacca con nuovi dati.

Ma a Messori preme solo sottolineare che il nuovo papa non è di sinistra, e per questo tira in ballo la sua lettura del ruolo di Francesco d’Assisi, che della sua multiforme personalità sottolinea solo “l’obbedienza docile alla Gerarchia”, che non spiega però la molteplicità di orientamenti anche radicali e tendenzialmente ereticali che una parte non indifferente del movimento francescano assunse.

Ma comunque è un richiamo utile per quella stolida sinistra che si è sbizzarrita in dichiarazioni di amore e ammirazione per il nuovo papa. E a cui vorrei ricordare che già nel XIX secolo nel patrimonio culturale della sinistra anche moderata e riformista c’era un rifiuto netto dell’atteggiamento “caritatevole” verso i poveri.

Purtroppo l’abitudine all’autoaccecamento è troppo forte in una sinistra che tra le tante cose del suo patrimonio originario dimenticato, aveva anche un giudizio severo sulle istituzioni ecclesiastiche e sulla loro funzione di pilastro della conservazione delle ingiustizie esistenti.

George Bernard Shaw, un laburista, non un rivoluzionario estremista, aveva scritto che la Chiesa anglicana avrebbe preferito rinunciare a tutti e 39 i suoi articoli di fede piuttosto che a un trentanovesimo delle sue entrate. Un’osservazione valida per tutte le Chiese ben strutturate, a partire da quella cattolica di cui quella nata dallo scisma aveva conservato tutte le concezioni essenziali (evitando solo di far defluire verso Roma le offerte dei fedeli).

Comunque aspettiamo di vedere all’opera il nuovo papa nella sua America Latina oltre che in un’Italia ritornata democristiana. Ma intanto riprendiamo una battaglia per una visione materialistica della società, che non si lasci incantare dalla propaganda che ci propone come modello di “modernità” il Cottolengo…


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