Il mirino jihadista che ci tiene sotto tiro
par Enrico Campofreda
venerdì 26 giugno 2015
La guerra dell’Isis prosegue, lontana da Kobanê e Raqqa. Va nel cuore d’Europa, come durante l’assalto parigino alla redazione di Charlie Hebdo dello scorso gennaio. Coinvolge i luoghi del divertificio occidentale: le spiagge maghrebine, ma potrebbero essere i lidi di qualsiasi nazione. L’odierna cronaca parla di nuovi attacchi: un impianto di gas francese nella val d’Isère, a trenta chilometri da Lione, la spiaggia tunisina di Sousse. Nella prima gli attentatori che, secondo gli inquirenti puntavano a un’enorme strage facendo esplodere la struttura, disegno fortunatamente fallito, lasciano il macabro marchio del proprio terrore: una testa umana mozzata e le bandiere nere dello Stato Islamico. Nei resort tunisini il medesimo jihad pratica un tiro al bersaglio sui vacanzieri, sterminandone 30, prevalentemente inglesi e francesi. E’ l’ingombrante e allucinante guerra che l’Europa non vorrebbe combattere e che la trasforma in target fisso, nelle sue città, fra le sue cose, coi suoi cittadini. Ovunque si spostino. E’ la trasmigrazione del terrore che l’attuale brand denominato Isis ha esposto nella trucida propaganda e ora serve direttamente, come, e forse peggio, aveva fatto un’altra fase del Jihad, gestito dal Movimento islamico armato negli anni ’90, rivolto sempre ai francesi, fuori e dentro la Francia.
Nell’Islam conosciuto di sponda sunnita e sciita, e in quello sempre più presente nelle nostre società grazie alle inevitabili migrazioni. Dove un sistema invecchiato non solo nelle strutture e nelle popolazioni, ma negli stessi ideali di vita non integra più nessuno. Hanno voglia politici, sociologi, filosofi, predicatori a invocare inserimenti, il falso melting pot della bella democrazia sembra non funzionare più, se mai ha funzionato. Anche perché contorni e contenuti mostrano crescenti ingiustizie e mostruose corruzioni. Riflettere può servire a intravvedere quali valori rilanciare, su quali basi trasformare un sistema sociale che nel continente chiamato Europa sempre più è e dovrà essere multietnico, multireligioso, multiforme. Affinché i progetti fondamentisti musulmani, o d’altro genere (si pensi alle chiusure razziste, xenofobe, parafasciste diffuse fra i confini del continente antico) non prendano il sopravvento. Mentre l’orizzonte degli ideologi che preparano lo scontro, palese o celato, cresce in maniera esponenziale fra le bandiere nere e quelle che non attraggono più.
Enrico Campofreda, 26 giugno 2015
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it