Il governo Renzi del commissario Padoan

par Franco Giordano
lunedì 24 febbraio 2014

Il governo Renzi è nato, con somma soddisfazione del primo ministro, il quale si accontenterà di avere un ruolo secondario rispetto al dicastero dell’economia.

A quanto pare Matteo ha rinunciato a tutto per salire a palazzo Chigi, anche ad essere il vero Presidente del Consiglio.

A riprova di tutto ciò, nella squadraccia di governo ci troviamo proprio di tutto: le inevitabili conferme di Angelino Alfano agli Interni, della Lorenzin alla Salute e addirittura di Lupi alle infrastrutture.

Ci troviamo inoltre elementi di spicco delle lobbie industriali, come al ministero dello Sviluppo economico Federica Guidi, figlia di Guidalberto Guidi, proprietario della Ducati Energia, nonché storico vicepresidente di Confindustria per un decennio.

Ed infine non manca l’occhio di riguardo nei confronti delle minoranze della coalizione di governo: Gianluca Galletti dell’Udc all’Ambiente e Stefania Giannini di Scelta Civica all’Istruzione.

Insomma Renzi si è limitato ad incastrare le esigenze e le richieste di tutti, ad abbassare l’età media del suo esecutivo con i ministri senza portafoglio, a fare un cinquanta e cinquanta tra uomini e donne nella squadra di governo e a piazzare alla Cultura l’amico Franceschini, una figura totalmente inutile che può serenamente saltare dai rapporti col parlamento ai beni culturali senza colpo ferire e, soprattutto, senza che nessuno si debba preoccupare di notare la differenza.

Tanto rumore per nulla insomma, poche reali novità e un contentino triste e senza senso alla minoranza del Pd nella figura Giuliano Poletti, ex presidente della legacoop e ora mammasantissima dell’Alleanza delle cooperative, vecchio ex comunista di ferro fuso e lavorato a mestiere negli anni.

Il governo Renzi per poter vedere la luce ha dovuto solo accettare una condizione dal Presidente della Repubblica, quella imprescindibile di un ministro dell’economia plenipotenziario ed indipendente, un ministro che ha il nome di Pier Carlo Padoan, vicesegretario dell’Ocse, uomo di spicco del fondo monetario internazionale e della Bce.

Padoan è un Monti meno gessato e in apparenza più casual, un soggettino niente male, e somiglia in modo preoccupante a Rupert Murdoch: già in passato ebbe a che fare con Amato e D’Alema, e da lì a poco spiccò il volo verso l’empireo delle sciagurate strategie macroeconomiche internazionali made in Fmi.

Padoan è un liberista convinto, uno che millanta verifiche a raffica e soprattutto uno di quelli che prediligono la chimera del mercato scriteriatamente libero e del lavoro flessibile e snello, cose che in Italia si traducono puntualmente in un casereccio latifondismo post moderno e in un precariato senza prospettive e garanzie.

“L’uomo nuovo” di Napolitano caldeggiò e promosse la riforma Fornero del governo Monti, in pratica la distruzione programmata – in nome dell’austerity – del futuro di una generazione e dell’avvento degli esodati.

Inoltre, Padoan ebbe tra le mani per quattro anni - per gentile concessione del Fondo monetario internazionale e dell’Ocse - il caso Grecia e, in proposito, queste furono le sue parole: “La Grecia si deve aiutare da sola, a noi spetta controllare che lo faccia e concederle il tempo necessario. La Grecia deve riformarsi, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro”.

Padoan licenziò a priori qualsiasi trattativa di aiuto economico e per riforma dell’amministrazione pubblica e del lavoro intendeva ridimensionamenti ottenendo così un innalzamento della disoccupazione e la totale estinzione di qualsivoglia tutela previdenziale e sociale.

In nome del rigore e delle riforme economiche Padoan è stato uno dei principali responsabili della crisi greca, crisi solo in apparenza alleggerita da un prestito a tassi criminosi da parte della Bce a condizioni inudite. Non solo la sua analisi si rivelò inutilmente aggressiva e inadeguata ma soprattutto controproducente per la sovranità del paese e senza reali risultati a medio e lungo termine. Detto in talleri la consulenza dell’accanito Padoan si rivelò un totale fallimento.

Ma se scaviamo un altro po’ nel passato del nuovo ministro dell’economia ci troviamo un evento ancora più eclatante e significativo, e cioè il default dell’Argentina del 2001. Padoan fu uno dei grandi sostenitori del liberismo economico argentino voluto dalla bce, un liberismo fuori controllo che portò il paese a dichiarare fallimento nel dicembre del 2001.

Padoan non è un economista amatissimo nell’ambiente e non è neanche apprezzato dai colleghi più blasonati; il premio Nobel Paul Krugman scrisse su di lui sul New York Times: “Spesso gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno pessimi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all’Ocse”.

E va ricordato che fu lo stesso premio nobel ad accusare direttamente Padoan di aver portato la Grecia e il Portogallo a un passo dal default totale. Insomma, per Krugman non siamo in mani sane, responsabili e competenti.

Ci sono, dunque, ottime probabilità che il governo Renzi possa rivelarsi in un’ennesima pantomima dettata dall’alto, un esecutivo fantoccio che nasconde il terzo commissariamento economico consecutivo. In fondo i conti tornano, e la personalità del premier è rispettata. A Renzi il ruolo della marionetta calza alla perfezione.


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