Il gatto che si morde la coda

par Cesarezac
martedì 9 settembre 2014

La BCE minaccia le banche che non prestano alle aziende. L’inferno è lastricato di buone intenzioni, come le minacce della BCE che in questo modo pensa di aiutare le aziende in difficoltà.

La BCE vuole forse replicare la crisi dei subprime? Questa si basava fondamentalmente sulla concessione di mutui per la corsa all’acquisto di abitazioni a soggetti che poi i fatti hanno dimostrato di non essere in grado di onorare, causando una catastrofe finanziaria seconda solamente alla crisi del 1929, catastrofe che ha coinvolto molte banche americane e che ha avuto ripercussioni su scala mondiale.

Nessuna istituzione al mondo può obbligare le banche a erogare prestiti a chi non supera l’esame del merito creditizio, cioè a quelle aziende o semplici cittadini che si presume non saranno in grado di restituire quanto ricevuto. Durante la citata crisi dei subprime, le banche italiane, criticate perché accusate di eccesso di prudenza, ne uscirono indenni.

Tuttavia, è anche vero che oggi le banche sembra abbiano dimenticato quella che è la loro funzione primigenia di raccolta del risparmio e di investimento erogando credito, trovando più lucroso investire in borsa. Insomma si sono trasformate in finanziarie speculative, in questo favorite dalla stessa BCE dalla quale ricevono sostanziosi contributi finalizzati alla ricapitalizzazione per compensare la critica situazione derivante dalla insolvenza di tanti cittadini che non riescono a pagare le rate dei mutui che si sono accollati. Possiamo ragionevolmente ritenere che quelle somme sarebbero state più proficuamente utilizzate aiutando i mutuatari in difficoltà, rendendo così, sic et simpliciter, non necessaria la ricapitalizzazione delle banche, e contemporaneamente alleviando un grave problema sociale e indirettamente l’economia: l’uovo di colombo.

Nell’attuale temperie, nel nostro Paese che si dibatte in una drammatica recessione, che in parole povere significa che i prezzi scendono perché la gente non si può permettere di fare acquisti di ciò che non sia strettamente necessario per vivere, fino a che non si elimineranno tutti i numerosi ostacoli che non consentono alle aziende di creare lavoro, non si può pensare di risolvere la situazione obbligando le banche a fare beneficienza, anche perché così facendo si arriverebbe al fallimento delle stesse banche con gravi ripercussioni per l’intera nazione.

L’economia di ogni paese che non disponga di pozzi di petrolio si basa sulla capacità di quel paese di creare beni di consumo o servizi, in una parola il cosiddetto PIL acronimo per Prodotto Interno Lordo. In altri termini si tratta di dare impulso a crescita e sviluppo che non è altro che il programma del governo Renzi.

Tuttavia, l’attuazione di questo programma è subordinata al varo di alcune riforme, anch’esse nel programma renziano. La cosa sembra assai semplice per chi non è in mala fede, per chi non rema contro perché vuole che nulla cambi per non rischiare di perdere privilegi assai cospicui. Molti ritengono, sbagliando, che nel nostro Paese il capo del governo sia una specie di dittatore e pretendono che le promesse da lui fatte, siano mantenute in men che non si dica. Invece, non è così, da noi, il capo del governo non ha che scarsissimo potere. Abbiamo un sistema bicamerale perfetto, ossia abbiamo due camere, dei deputati e senato, che entrambe rendono il Paese ingovernabile.

Quindi, la riforma più urgente e fondamentale è quella della Costituzione, anche con l’obiettivo di dare maggior potere al capo del governo.

Gli Antichi Romani, nella loro grande saggezza, nei periodi di pericolo incombente, sospendevano le normali garanzie e nominavano un dittatore. So benissimo che molti lettori grideranno allo scandalo. A costoro rispondo: cosa è successo a tanti paesi che si affacciano nel Mediterraneo dopo le cosiddette primavere arabe, dopo l’abbattimento dei dittatori? Pensiamo a Libia, Siria, Afganistan, Iran, ex Persia governata dallo Scià Reza Palevi, e allo stesso Egitto. Il sangue scorre a fiumi e le economie languono.

 

Foto: Palazzo Chigi, Flickr

                                                                        


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