Il futuro delle pensioni e le trappole gerontocratiche

par Damiano Mazzotti
mercoledì 8 febbraio 2012

Il tema della cervellotica gestione previdenziale all’italiana è il filo conduttore di un saggio molto documentato: “Senza pensioni” (Ignazio Marino e Walter PasseriniChiareLettere, 2011).

C’era una volta un bel paese con un grande problema, quello delle pensioni. E tutti quelli che affrontavano il problema lo gestivano a loro favore e poi lo passavano a un altro. E nessuno sapeva quanto poteva durare. Si può sdrammatizzare quanto si vuole ma “la bomba previdenziale coinvolge lavoratori pubblici e privati, atipici e precari, liberi professionisti, artigiani e commercianti. I giovani naturalmente sono i più penalizzati, andranno infatti in pensione con il 50 per cento del loro ultimo salario”.

Purtroppo è vero che “si inizia a lavorare più tardi e ci si ritira prima dalla vita attiva: negli anni Sessanta si andava in pensione a 63 anni, oggi a 59”. Quindi i costi di erogazione aumentano e paradossalmente sono “i 4 milioni di atipici e gli immigrati (insieme versano allo Stato quasi 10 miliardi l’anno), cioè i più deboli, a sostenere le casse previdenziali (1,4 miliardi di attivo) e a pagare le pensioni di chi ha avuto un impiego sicuro e ben pagato”. Oggigiorno circa “9 pensioni su 10 sono calcolate con il più generoso metodo retributivo… Per i più giovani, ma anche per ampie fasce di trentacinquenni e quarantenni, la pensione verrà calcolata con il più avaro metodo contributivo che determina assegni sempre più bassi”.

In effetti grazie alle furberie dei vecchi politici che chiaramente tutelano se stessi e i loro coetanei, la previdenza è stata quasi sempre in attivo, anche perché tutti i lavoratori in regola pagano i contributi, ma molte persone muoiono prima di ricevere il primo assegno e moltissime muoiono pochi mesi o pochi anni dopo aver incassato il primo assegno. È l’assistenza al mondo del lavoro che crea un grande scompenso passivo: con i fondi Inps non si dovrebbero coprire le spese delle ristrutturazioni aziendali, della cassa integrazione e dei licenziamenti.

Allora cosa si può fare per evitare l’allungamento dell’età pensionabile se l’evoluzione tecnologica rende la produttività di molte risorse umane sopra i 60 anni quasi paragonabile a quella delle macchine da scrivere?

Comunque senza nuovi pensionamenti non si possono ottenere nuovi posti di lavoro. Senza nuovi politici e senza i giovani non si possono realizzare nuove politiche del lavoro innovative e non si possono trovare delle buone alternative alla pensione integrativa.

D’altra parte in Italia non c’è mai stato un vero ricambio della classi dirigenti senza un cambiamento di regime politico imposto da azioni internazionali (più o meno alla luce del giorno). Le svolte epocali si hanno “quando non cambiano solo le cose, ma anche le teste per capirle” (Vittorio Foa, politico, giornalista, scrittore, onesto fondatore della prima Repubblica Italiana).

E ora cito Elsa Fornero, che è stata (o è) la coordinatrice scientifica del Center for Research on Pensions and Welfare Policies (forse la denominazione inglese serve a far credere che non è gestito all’italiana). La ministra del Lavoro sembrerebbe una brava persona, ma le lobby assicurative e bancarie sono sempre dietro l’angolo ad aspettarla. Infatti afferma: “È pero importante che si diffonda la percezione che le pensioni sempre meno dipendono dalla benevolenza dei politici e, sempre più, saranno il risultato di un libretto pensionistico personale, del quale si dovrà quindi avere grande cura” (“Quattro lezioni valide per tutti”, Il Sole 24 Ore, 5 maggio 2011).

Se le cose si metteranno davvero così, i cittadini saranno finalmente liberi di liberarsi dei burocrati e dei prezzolati tecnici e dei burocrati e dei prezzolati politici. A cosa servono i politici se non investono in ricerca e formazione, se non creano lavoro e se non ti danno nemmeno la pensione?

 P

. S. Ideona del giorno: “Perché non iniziamo a tassare i finanziatori dei tassatori?”. Monti dovrebbe preparare una buona legge per obbligare tutti gli aderenti a un partito e tutte le aziende a versare allo Stato, tanto quanto versano alle casse di un partito. Se ai nostri politicanti questa legge non andrà bene si può tornare a votare anche senza cambiare la legge elettorale. Poi ci penseranno i veri cittadini a punire le segreterie dei partiti per l’ennesima fregatura. 


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