Il fondamentalismo questa volta non c’entra

par Simone Pardini
martedì 25 gennaio 2011

Nel 1975 nel Mondo câerano solo 40 democrazie; appena 20 anni dopo ne contavamo ben 117. Câera (e câè tuttâora) unâeccezione, il Nord Africa ed il Medio Oriente arabi, 16 stati, ben lungi dallâessere considerati democratici.

La rendita petrolifera, base economica di molti di questi 16 stati, permette ai governanti di far camminare (che non significa far funzionare) uno stato, costruire (che non significa utilizzare) opere pubbliche e fornire alcuni servizi base ai cittadini senza lasciare alcuno spazio alla dialettica, elemento necessario/indispensabile per la costruzione ed il mantenimento di una democrazia che si consideri tale. Ma l’oro nero è forse l’esempio più lampante, la candela nel buio, di un esteso malessere che ha il nome di corruzione.
 
Altro esempio: elezioni truccate e riciclaggio internazionale di denaro. Gli esponenti del vecchio governo keniota, con a capo Daniel Arap Moi, ne sanno qualche cosa. Il caso, sollevato da Wikileaks, spostò il voto delle elezioni presidenziali di una percentuale di popolazione che ammontava al 10%.

Pur avendo matrici diverse, questi casi hanno un elemento comune che è da ricercarsi nella corruzione dei governi, la quale si riflette sempre sulla popolazione con effetti disastrosi.

La Tunisia sta vivendo in questi giorni l’effetto diretto di decenni di politiche degenerate che hanno affamato il popolo ed hanno progressivamente arricchito Zine el-Abidine Ben Ali, l’ormai ex presidente fuggito in tutta fretta dal Paese, e sua moglie, la quale ha rinunciato tristemente a tutti i suoi bei gioielli. 300 euro è la mensilità media di un agricoltore tunisino, quando lo zucchero costa 10 euro al kg e la carne 40. L’Intifada del pane (per usare il termine di Lorenzo Cremonesi), la bomba scoppiata in Algeria, è il denominatore che accomuna quasi l’intero Nord Africa e il Medio Oriente (le eccezioni antidemocratiche) assieme all’elevata ineguaglianza interna tipica di questa zona, ma anche della nostra.

L’inevitabile voglia di cambiamento è arrivata forse troppo bruscamente, ma se presa in termini di uguaglianza, miglioramento delle condizioni di vita, eliminazione della corruzione; allora, il suicidio di Mohamed Bouaziz, 26 anni, ambulante laureato, dello scorso 17 dicembre, non è un gesto che si è consumato invano, ma che è servito per svegliare gli animi delle persone, assopiti da regimi autoritario che non hanno mai lasciato spazio alcuno per i dissidenti.


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