Il flop italiano della pillola dei 5 giorni dopo
par UAAR - A ragion veduta
martedì 19 marzo 2013
Autorizzata dall’Aifa solo al termine di una lunga coda di polemiche e con limitazioni di rilievo, la pillola dei cinque giorni dopo stenta però a diffondersi in Italia. In generale nel nostro paese si scontano infatti ancora molti pregiudizi e convincimenti errati intorno ai contraccettivi. Come emerge dalla ricerca sulla contraccezione d’emergenza presentata recentemente a Venezia nel corso del quindicesimo World Congress on Human Reproduction.
L’indagine su più di 1.200 donne mette in luce per l’Italia che quasi tre su dieci tra i 16 e 45 anni hanno rapporti a rischio gravidanza non voluta. L’uso dei contraccettivi tra le donne è elevato, ma il 45% è convinta che la contraccezione d’emergenza porti a un aborto. Senza contare la diffusa disinformazione sul funzionamento dei contraccettivi d’emergenza: il 34% delle donne non sa come agiscono. Tuttora il 15% ritiene che abbiano effetti negativi come l’infertilità. E il 16% che la contraccezione d’emergenza serva solo per il primo rapporto sessuale.
In pratica, solo il 20% delle donne, dopo rapporti non protetti, ha scelto la contraccezione d’emergenza. Ciò non aiuta a diminuire il numero degli aborti. Secondo dati dei ginecologi del 2009 circa sono circa un terzo le gravidanze indesiderate, per metà delle quali le donne scelgono l’interruzione di gravidanza. A peggiorare la situazione ci sono le difficoltà a ottenere la contraccezione d’emergenza: quasi metà delle donne ha dovuto affrontare difficoltà per avere il farmaco e il 18% si è sentita a disagio o giudicata, oppure è stata criticata dagli stessi operatori sanitari quando ha chiesto assistenza. Arrivano però segnali incoraggianti, sia per una maggiore consapevolezza e richiesta di informazioni presso i medici da parte delle donne, sia per la commercializzazione di prodotti più efficaci.
Sono quindi ancora molti problemi che le donne scontano nell’usufruire della contraccezione di emergenza. La distribuzione della pillola EllaOne (o dei cinque giorni dopo) è stata a lungo ritardata per questioni burocratiche e pareri istituzionali contrari. Inoltre sono stati introdotti criteri molto stringenti, come la richiesta del test di gravidanza, disposizione che non risulta nelle altre nazioni europee dove il prodotto è commercializzato. Particolarmente influente nelle limitazioni è stato il pressing cattolico, che tra l’altro contribuisce a diffondere l’idea errata che le pillole del giorno dopo o dei cinque giorni dopo siano abortive.
Per esempio, proprio il Movimento per la Vita, nota associazione no choice, aveva fatto ricorso al Tar del Lazio contro l’Aifa per bloccarne la distribuzione. Anche in Parlamento un intergruppo bipartisan aveva presentato una interrogazione al ministro della Sanità Balduzzi contro la EllaOne. Sempre sostenendo che fosse un farmaco “abortivo”, nonostante la comunità scientifica ritenga il contrario e anzi sia uno strumento per contenere gli aborti, come rilevato dai ginecologi. Tra l’altro, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si può parlare di “embrione” all’incirca solo dopo il quattordicesimo giorno dal concepimento.
Ancora una volta si conferma come l’interventismo delle gerarchie ecclesiastiche e l’influenza (anche quando parziale) sulla legislazione hanno conseguenze concrete, che finiscono per porre l’Italia e la sua popolazione in una condizione di minorità rispetto agli altri paesi dell’Europea occidentale. Opporsi a questa situazione non è dunque fare dell’anticlericalismo gratuito, è invece battersi per un paese più moderno e rispettoso dei diritti e delle possibilità di tutti. Anche delle stesse cattoliche che hanno l’esigenza di ricorrere alla contraccezione d’emergenza.