Il duro Vangelo del Natale
par Giacomo Belvedere
venerdì 27 dicembre 2013
Giuseppe era un sognatore. Per questo non lapidò quella ragazza madre come prescriveva la legge maschillista dei suoi padri. E adottò quel figlio non suo. Ma non c'era posto nel suo paese per quella famiglia irregolare. Così, sempre inseguendo i suoi sogni, fu costretto a espatriare clandestinamente e a vivere da profugo. Insegnò a suo figlio a obbedire sempre ai propri sogni di giustizia piuttosto che a una legge ingiusta. Anche a costo di essere perseguitato.
La verità è che sul Natale si è fatta la maggior mistificazione della storia. Si è trasformato il racconto evangelico a tal punto da stravolgerlo totalmente. Depotenziandolo della sua carica esplosiva. Perché, diciamocelo, il vangelo di Natale è scomodo. Narra la storia di un giovane palestinese, Giuseppe, che era un inguaribile sognatore. Per questo non lapidò quella ragazza madre come prescriveva la legge maschilista dei suoi padri. E adottò quel figlio non suo. Immaginate le critiche dei benpensanti, che iniziarono una campagna persecutoria contro quella famiglia. Contro il figlio del carpentiere sognatore si accanirono anche negli anni seguenti con ferocia inaudita. Fu la loro bestia nera: un pericolo mortale per l’establishnment. Cercarono di farlo fuori sin dall’inizio.
Maria, una ragazzina ancora, fu mandata dalla cugina Elisabetta in una città di Giuda. Ufficialmente per aiutare la cugina che aveva avuto un gravidanza insperata, ma, data l’età, a rischio. In realtà per farle cambiare aria. In paese il pettegolezzo aveva reso il clima irrespirabile.
È questo il duro vangelo di Natale. Il bambino fu deposto in una mangiatoia. In latino la parola praesepium (il nostro «presepio») significa alla lettera mangiatoia. Nell’iconografia antica si mette il passo evangelico in parallelo con la deposizione dalla croce. Un vangelo in cui la vita è costantemente insidiata dalla morte. Un vangelo che ci parla di povertà, di esclusione, di espatri clandestini, di uccisioni di bambini e di persecuzioni. Ma anche di un insopprimibile desiderio di giustizia e di pace. Che nessuna legge, nessun potere, nessun pregiudizio può spegnere. La stella non brilla sui palazzi dei potenti sanguinari, dei vip che decidono la storia. Ci attende fuori, per condurci a un Bambino in fasce su una povera mangiatoia. Nato tra gli invisibili della storia, gli sfollati in un campo profughi, i richiedenti asilo rinchiusi in un Cara, i migranti espulsi dai respingimenti o prigionieri dentro un Cie.
«Ero forestiero», ci dice il Bambino. «E non mi avete accolto». È l’aut aut del vangelo del Natale. O stiamo con Erode o stiamo col Bambino. Buon Natale.