Il disastro di Fukushima

par Federico Mascagni
mercoledì 19 ottobre 2011

Con questo articolo inizio a riportarvi i convegni che ho seguito per la testata L'Unità al Festival di Internazionale, tenutosi anche quest’anno (quinta edizione) a Ferrara. Sarà curiosamente un percorso a ritroso negli appuntamenti, per comodità dei miei appunti.

Il primo argomento è il Giappone: se n’è parlato domenica 2 ottobre con Pio d’Emilia, corrispondente da Tokyo per SkyTg24, Mishima Kenichi, docente di filosofia sociale e contemporanea all’Università di Keizai a Tokyo, e con la scrittrice Randy Taguchi, autrice fra gli altri libri di Presa Elettrica.

La crisi del Giappone, inondato non solo dalla crisi globale ma da un tragico tsunami che ha distrutto parte della costa, deriva soprattutto dall’inefficienza e dalla sciatteria con cui è stato sottovalutato il disastro della centrale atomica di Fukushima. C’è stata una crisi di governo, in una situazione economica comunque difficile per il terzo Paese più potente al mondo ma, nonostante un avvicendamento di leadership, il Partito Democratico giapponese mantiene ancora il potere.

Secondo Pio d’Emilia le responsabilità non sono da addossare al Presidente del Consiglio dimissionario Naoto Kano, che anzi aveva aperto all’interno del Partito Democratico giapponese una fase di trasparenza, ma alla TEPCO, la potente agenzia del nucleare che non ha seguito le minime regole di manutenzioni dell’impianto nel corso del tempo.

Lo tsunami sulla costa di Fukushima è stato debole rispetto ad altri luoghi e non ha sostanzialmente danneggiato la centrale: il tracollo è dovuto al terremoto del 6° grado, un terremoto che si potrebbe definire normale rispetto alle medie sismiche giapponesi. E’ mancata la comunicazione fra la Tepco e il Governo, gli interventi immediati sono stati improntati dalla totale inefficenza (prolunghe troppo corte, 6 ore di attesa prima di dare il via allo sfiato d’emergenza per il raffreddamento della centrale).

Il professor Kenichi ricorda come la Tepco avesse allora distratto l’intera stampa invitandola a un incontro internazionale a Pechino, lasciando nell’indeterminatezza più totale l’Opinione Pubblica. Rispetto a d’Emilia, Kenichi è molto critico nei confronti del Partito Democratico Giapponese e afferma che esiste una sorta di aristocrazia che detiene il potere ed emargina gli esperti dalle discussioni fondamentali del Paese.

La Tepco sta tentando di influenzare l’opinione pubblica: sono intervenuti con uno stanziamento di un miliardo di euro in pubblicità, e anche in fase processuale esistono conflitti di interesse fra l’accusa e la stessa Tepco. Taguchi ricorda che questa è la quinta contaminazione nucleare in Giappone e le enumera:

  1. Hiroshima
  2. Nagasaky
  3. Bikini, dove gli esperimenti nucleari coinvolsero una nave che ospitava passeggeri giapponesi e compromise la zona giapponese della pesca dei tonni (cibo fondamentale della cucina nipponica)
  4. L’incidente alla centrale di Tokaimura nel 1999
  5. Fukushima
Taguchy ricostruisce come storicamente si è arrivati all’utilizzo del nucleare in Giappone. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Giappone, stretto fra le due superpotenze sovietiche e statunitensi, fu sconvolto dall’incidente di Bikini, e l’Unione Sovietica ne approfittò per avvicinare il Paese all’ideologia comunista antistatunitense. Gli Usa inviarono commissioni sul posto per propagandare la convenienza dell’installazione di centrali nucleari, spostando la discussione dall’ambito scientifico a quello ideologico: chi era contrario all’innovazione era vicino alle posizioni comuniste sovietiche.
 
Questa impostazione ideologica, sostiene Taguchy, ha fortemente influenzato le scelte, e anche oggi ogni sentimento antinucleare viene bollato come comunista.
 
La situazione oggi: per d’Emilia il dibattito è fermo, Tokyo e Osaka sostanzialmente si disinteressano della periferia, come d’altronde i media, ad eccezione dei blog e delle web tv. Taguchi riporta anche il grave danno sociale che le persone contaminate devono soffrire: nessuno sposa gli uomini e le donne delle zone contaminate, ormai diventati una sorta di “paria” delle radiazioni.

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