Il dilemma del Pd tra lo sciopero e la legge elettorale
par Giacomo Lagona
lunedì 5 settembre 2011
Ci sono troppi elementi che denotano non un eccesso di dibattito e di confronto nel Pd ma un inquietante incremento di confusione. La vicenda dello sciopero del prossimo 6 settembre indetto dalla Cgil da un lato e il capitolo della riforma elettorale dall’altro non sono che due esempi. Due elementi, tra i tanti, che evidenziano come nel Pd il pluralismo è più interpretato come la possibilità di declinare più linee politiche che non come un contributo concreto e serio a ricercare una sintesi dove tutti si riconoscono.
Del resto, come è possibile che, dopo l’approvazione di una proposta di riforma elettorale varata dalla segreteria nazionale e votata a stragrandissima maggioranza dai gruppi parlamentari, salta fuori la pista referendaria – ovviamente diversa dalla proposta del partito – sostenuta da autorevoli esponenti del medesimo partito con la benedizione del sempreverde Prodi? Come è possibile essere credibili se il giorno dopo l’approvazione di un progetto elettorale studiato, discusso e poi votato si scatena una macchina referendaria e si invitano i militanti, gli iscritti e gli elettori del Pd a firmare un’altra proposta? La motivazione di questo voltafaccia sarebbe riassunto con la motivazione che, vista la debolezza del Parlamento e la quasi impossibilità a votare una nuova legge elettorale, tanto vale scegliere la scorciatoia referendaria. Ma allora una domanda è d’obbligo: perché limitare le proposte a due e non moltiplicarle? Se tutto è legittimo in virtù della debolezza del Parlamento, ognuno può allora ritrovarsi in un modello elettorale alternativo al porcellum ma che non sia banalmente funzionale al mattarellum e ai guasti che ha prodotto per garantire una credibile e seria governabilità del nostro sistema politico. Perché non il modello tedesco, o quello spagnolo o, meglio ancora, quello francese con l’uninominale a doppio turno?
Insomma, di fronte ad un palese tentativo di ridicolizzare la proposta elaborata, discussa e votata da tutto il partito, è legittimo che ognuno scelga il suo modello preferito. Il risultato? Scontato. Dal Pd arriva una molteplicità di proposte con la garanzia che, ancora una volta, non ci troviamo di fronte ad un sano e fecondo pluralismo, o pluralità che dir si voglia, ma ad una crescente confusione dove l’unico elemento che spicca è che ognuno percorre la strada che ritiene migliore. Il tutto, ovviamente, all’insegna di nobili principi e grandi convincimenti ideali!
Di tutt’altro tenore il dibattito attorno allo sciopero generale del prossimo 6 settembre indetto dalla Cgil. Un tema che, notoriamente, non riguarda le scelte di un partito. E questo per il semplice motivo che la cultura della “cinghia di trasmissione” è ormai – o almeno così speriamo – definitivamente archiviata e consegnata alla storia. Ma questo sciopero annunciato ha comunque scatenato un vespaio di polemiche che denota, anche qui, una strana concezione che si ha del rapporto tra la politica e il sindacato. O meglio, tra i partiti e il sindacato. Accanto alla stranezza – almeno così la penso io – di organizzare uno sciopero generale prima ancora che la manovra economica sia varata del tutto, è quantomeno anacronistico che si pensi di favorire l’unità sindacale nel nostro paese organizzando scioperi in solitudine. Le riflessioni avanzate nel merito da Marini e da Fioroni sono largamente condivisibili. E questo al di là di ogni polemica pelosa o strumentale.
Ma quello che più stupisce è la “gestione politica” di questa mobilitazione sociale e popolare. Dal documento generazionale sul “no allo sciopero” – non si capisce perché debba riguardare solo i quarantenni e non i trentenni o i cinquantenni del Pd – all’adesione acritica alla prossima astensione dal lavoro di alcuni settori del partito per la sola motivazione che si proviene dalla medesima storia ad un atteggiamento, invece, più responsabile e più politico. E penso a ciò che ha detto, al riguardo con semplicità e buon senso, il segretario Bersani quando ha evidenziato che il Pd deve essere presente in tutte le piazze, in tutti i luoghi, in tutte le sedi pubbliche dove c’è una contestazione al modello sociale e politico perseguito da questo governo di centro destra. Non un modo, un po’ doroteo, per accontentare tutti. Ma la semplice presa d’atto che l’unità sindacale non la si favorisce con lo sguardo rivolto irrimediabilmente al passato o condividendo tutto ciò che dice una sola sigla sindacale. Ma essendo disponibili al confronto con tutti, partendo però dalla piattaforma politica e progettuale del partito. Il tutto, però, avviene anche qui con una babele di lingue e con una pluralità di opinioni che sconfina nella confusione e nel disorientamento. Anche su un tema che attiene direttamente al governo della società e al profilo riformista e democratico del partito.
Ho voluto citare solo due casi, peraltro attuali e legati alla contingenza politica. Ma due temi, però, che attengono direttamente all’agenda politica del paese e all’identità stessa del Partito democratico. E su questo versante, come si suol dire, continuiamo ad essere carenti e un po’ approssimativi.
Per non parlare di tutto ciò che è riconducibile ai temi dell’antipolitica, dove abbondano coloro che pur di spararla più grossa degli altri sono disposti a cavalcare quel tasso di ipocrisia e di demagogia che caratterizza sempre di più alcuni settori della società italiana, opportunamente guidata e manipolata dai grandi organi di informazione che coltivano l’obiettivo, noto da tempo, di ridurre la rappresentanza democratica in nome di nobili e salvifiche motivazioni di cassa e di riduzione – peraltro necessaria – dei costi della politica. Spiace rilevare che questa insopportabile carica di antipolitica vanga fatta propria da dirigenti del Pd che da svariati lustri sono al vertice delle istituzioni o dei partiti di riferimento. Pensando che, forse, è sufficiente fare un po’ i demagoghi per far dimenticare la propria condizione e il proprio status. Ma questo è un altro tema che non vale neanche la pena affrontare.
Fonte originale: Il dilemma del Pd tra lo sciopero e la legge elettorale « OpenWorld http://www.openworldblog.org/2011/09/pd-sciopero-legge-elettorale/#ixzz1X3sAwm7j