Il decreto “svuota carceri”
par Bernardo Aiello
giovedì 25 novembre 2010
Non si può non salutare con soddisfazione la definitiva approvazione da parte del Senato del decreto che consentirà di riportare entro la fine dell’anno le nostre carceri in condizioni di minor affollamento.
La linea seguita dal provvedimento è stata quella di consentire l’applicazione della detenzione domiciliare nei casi di minore gravità dei reati commessi e nell’ultimo anno di completamento del periodo di detenzione. Sono esclusi dal provvedimento i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare, i «delinquenti abituali, professionali o per tendenza», i soggetti per i quali esiste la concreta possibilità di sottrarsi alla detenzione domiciliare mediante la fuga, quelli per i quali sussistono specifiche e motivate ragioni che possano commettere ulteriori delitti, nonché quelli che non dimostrano di possedere un domicilio adeguato alle esigenze della detenzione domiciliare.
Si pensa che saranno circa settemila i detenuti che potranno usufruire del provvedimento entro la fine dell’anno e questo conterrà in limiti ridotti il sovraffollamento delle strutture penitenziarie, senza peraltro riuscire a riportarle in condizioni di normalità : tutte le rilevazione sui dati della popolazione carcerari indicano in circa ventimila i detenuti attualmente in eccesso rispetto alla capienza disponibile.
Al miglioramento delle condizioni di affollamento delle carceri così ottenuto, occorre aggiungere una maggiore aderenza al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione, che recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». I numeri in proposito parlano chiaro: dal 1998 al 2005, secondo uno studio del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, i soggetti sottoposti all’affidamento sociale sono tornati a commettere reati nella percentuale del 19%, mentre la percentuale per i detenuti sottoposti a carcerazione la media è stata del 68,45%. Dunque queste carceri, così affollate e così carenti, non realizzano affatto quella rieducazione del condannato che la Costituzione dispone, mentre le misure alternative possono più efficacemente farlo.
A questo punto il cittadino, dopo l’intervento per l’emergenza, si attende quello strutturale: un sistema penitenziario diverso e con strutture adeguate, in grado di realizzare il disposto del terzo comma dell’art. 27 della Costituzione. Perché quest’ultima indica sempre il bene comune ed il bene comune non tollera esclusioni: esso è di tutti e non sopporta la perdita di alcuno, neanche dei detenuti. Se a qualcuno è negato, il bene comune è negato a tutti. Come nella moltiplicazione un fattore nullo rende nullo il risultato per tutti gli altri fattori.
Dunque, con l’approvazione definitiva e l’entrata in vigore del cosiddetto decreto “svuota carceri”, si è fatto un passo positivo e nella giusta direzione di un percorso ancora lungo da fare; sempre se la politica riuscirà a farlo, magari trovando il tempo fra un litigio ed un altro nella lotta per il potere fine a se stesso.