Il corpo e l’anima dell’Islam in rivolta
par Enrico Campofreda
lunedì 17 settembre 2012
Pretesto o non pretesto, protesta o meno quello che comincia a tenere banco nelle primavere arabe passate e presenti è quale tendenza dell’islamismo politico prevarrà anche in Paesi assolutamente mediterranei come Tunisia ed Egitto che hanno visto violenze più preoccupanti dello stesso colpo mortale di Bengasi. Più preoccupanti perché basate sui numeri dei dimostranti-assedianti e dei giorni di gazzara tollerati da chi mal li digeriva, le attuali dirigenze tunisina e cairota, perché scontri e nuovi morti producono problemi interni e internazionali all’establishment. Il dichiarato moderatismo dei due partiti di governo delle nazioni che hanno aperto le porte alle rivolte anti raìs, cavalcate ma non promosse da Ennadha e dal Freedom and Justice Party, si distanzia dall’accesa ira delle bandiere nere dei salafiti. Quest’ultimi a Tunisi e al Cairo, a Tripoli del Libano, Sanaa e nell’Oriente estremo hanno sviscerato un odio globale verso l’Impero e l’Occidente d’impianto americano. Ma già cinque giorni or sono, ascoltando le dichiarazioni del portavoce di Al-Nour Nader Bakkar, rilasciate a poche decine di metri dall’ambasciata statunitense della capitale egiziana posta sotto assedio da centinaia di giovani adiratissimi si notavano distinguo e critiche alla violenza nichilista pur mossa dall’ingiustificabile offesa religiosa. Se poi si legge la lettera che Al-Shater, deputato e presidente della Fratellanza, colui che poteva diventare presidente d’Egitto ma fu escluso dalla corsa, invia al primo cittadino d’America e al suo popolo si comprende che non è l’Islam di questi partiti a odiare l’aria del west.
Un passo da perfetto ministro degli Esteri che cerca di tamponare l’avvertimento rivolto telefonicamente da Obama al viaggiatore Morsi, a caccia stavolta di finanziamenti europei, minacciando di tagliargli l’arrivo dei propri fondi. Su dollari, euro e ogni sorta di moneta passa il futuro politico delle rivolte arabe, non tanto perché queste possono venire immediatamente comperate o inquinate dal denaro, ipotesi drammaticamente possibile, ma perché la futura pianificazione economica di quei Paesi è impensabile senza risorse. Questione ripetuta da mesi che, ben prima dell’ultimo diktat di Obama, ha già mostrato i ricatti statunitensi e le lusinghe saudite e qatarine. Quest’ultime seguono percorsi duplici, uno legale rivolto alle amministrazioni politiche, l’altro sotto traccia basato sull’infiltrazione teologica del wahhabismo e sul jihadismo di Al-Qaeda.
Acculturati o meno rappresentano un serbatoio energetico straordinario per un fondamentalismo miliziano o movimentista che, lontano dal moderatismo della Confraternita, sfugge alla stessa intransigenza pragmatica di Al-Nour orientato a percorrere una via istituzionale verso il potere. Dalle considerazioni di taluni analisti appare piuttosto la tunisina Ansar Al-Sharia una componente che mette le radici nelle ferite sociali aperte - quelle per le quali Mohammed Bouazizi s’era immolato che restano simili a ventuno mesi fa - e cerca proseliti reclutando sui bisogni dei diseredati e sulle mancanze che generano odio. In questi giorni al Cairo sono comparsi i predicatori di piazza, i già sperimentati imam che lanciavano anatemi contro l’asservimento filo occidentale di Mubarak e possono cominciare a farlo anche verso neo servilismi della Fratellanza. I film blasfemi sono la miccia poi la rabbia infiamma attorno a tutto quel sociale irrisolto che ha il volto di chi fino a ieri collaborava con l’Occidente e di chi s’appresta a riproporlo senza cambiare davvero. Ideologia e fede irrompono sull’odierna scena delle rivolte arabe legate strettamente ai bisogni del corpo, dell’anima e di tutto quello che questo significa come progetto identitario di ciascuna comunità nazionale.