Il complotto contro la Russia

par Emanuele Midolo
sabato 26 luglio 2014

Venerdì 18 luglio Sara Firth, corrispondente da Londra per Russia Today, ha dato le dimissioni per protesta rispetto al modo in cui la sua emittente, alla quale lavorava da 5 anni e di cui era uno dei volti più noti, ha trattato la vicenda del volo MH17 della Malaysia Airlines

“Non è stata una decisione facile, ho iniziato la mia carriera a RT e rispetto molte delle persone del gruppo. Alla fine siamo arrivati a un punto tale che non potevo più difendere l’emittente; anzi, non pensavo neppure ci fosse ancora qualcosa da difendere. Una storia come questa lo ha reso palese”, ha dichiarato Firth, intervistata dal Guardian.

Il giorno prima, la stessa RT riportava l'indiscrezione di una agenzia russa, la Interfax, riguardo la possibilità che il vero obiettivo dell'attacco missilistico non fosse il Boeing 777 della Malaysia Airlines, ma l'aereo presidenziale di Vladimir Putin, un Ilyushin il-96, di ritorno dal summit dei BRICS in Brasile. La notizia, ripresa dai giornali di mezzo mondo, avrebbe scagionato automaticamente i russi (poco importa che fossero i separatisti di Donetsk o l'esercito russo vero e proprio), attribuendo la colpa agli ucraini, rei di aver tentato di uccidere il leader nemico.

Peccato che la notizia sia stata poi flebilmente smentita dall'ufficio presidenziale, oltre che dalle autorità dell'aeroporto internazionale di Vnukovo: l'aereo di Putin non ha mai sorvolato lo spazio aereo ucraino. 

“È degno di nota che il Cremlino rilasci dichiarazioni molto più moderate della TV russa”, sostiene Gleb Pavlovsky, ex consigliere politico di Putin, al New Republic. Il governo si è trovato nella difficile situazione di non dover deludere il suo pubblico (e quindi il suo elettorato), con affermazioni troppo equilibrate. Come quando, qualche tempo fa, ha annunciato di non voler inviare truppe a sostegno dei separatisti filo-russi in Ucraina orientale. Una notizia che è stata fatta passare volutamente in sordina da televisioni e giornali.

“I media, apparentemente controllati, devono necessariamente occultare ogni discussione politica razionale fatta dallo stato, e impacchettarla con una retorica imbecille e nazionalista”, continua Pavlovsky. I mezzi d’informazione sono “apparentemente” controllati perché, in realtà, tutta questa ossequiosa obbedienza comincia a pesare sulle spalle dello stesso Putin. “Dev’essere l’eroe di questa TV, non è più libero. Credo non si trovi proprio a suo agio, in questo momento”.

Eppure la televisione è un prodotto diretto di quello che Eliot Borenstein, professore di slavistica alla New York University, definisce “putinismo 2.0”. “Ai vecchi tempi (quando il nuovo secolo era ancora a una sola cifra), il putinismo era una semplice narrazione a basso contesto (low-context): prezzi del petrolio alti e una democrazia altamente controllata servivano all’accrescimento dello stato e al miglioramento economico di una fetta significativa della popolazione. Ma dopo il 2012 Putin scoprì che aveva una nuova storia da raccontare, o che doveva raccontare una nuova storia”.

Un mix di grandeur, retorica e spettacolo, anziché la sana vecchia gestione della cosa pubblica. Esattamente come si è visto alle Olimpiadi invernali di Sochi, probabilmente il più grande successo di spettacolarizzazione made in Russia dai tempi dell’Unione Sovietica. 

Ma all’immagine della Nazione guerriera (e invincibile) - come ci si è dati la pena di mostrare nel 2008 durante la guerra lampo, appena 5 giorni di combattimenti, contro la Georgia - si è aggiunta una nuova, efficacissima narrazione: quella della Russia vittima del Grande Gioco internazionale.

L’arma segreta del nuovo corso, secondo Borenstein, è una sorta di "vittimismo aggressivo", un'attitudine cristallizzata soprattutto negli ultimi due anni. “La narrazione della Vittima Aggressiva è il distillato perfetto tra la malinconia post-imperiale degli anni Novanta e il fanatismo nazionalista del dopo Yeltsin: già messa in ginocchio, la Russia si solleva contro tutte le forze che vorrebbero schiacciarla nuovamente. Comprese quelle stesse forze che la percepiscono come una minaccia”.

Un’attitudine espressa perfettamente da questo tweet di Vladimir Solovyov, un giornalista molto popolare della televisione Rossiya 1, durante la riunione del consiglio di sicurezza dell’ONU di venerdì 18 luglio:

Perché condurre indagini, raccogliere indizi, svolgere analisi, quando il colpevole è già stato indicato. È una farsa, non una riunione”. 

Poco importa che il blogger investigativo Brown Moses abbia dimostrato come false le dichiarazioni ufficiali russe riguardanti la presenza del lanciamissili BUK in un territorio controllato dall’Ucraina; o che Vice news filmi i ribelli russi mentre fanno a pezzi i resti della carlinga dell'MH17 con una motosega e minacciano il cameraman con un mitra; o ancora che qualcuno, dagli uffici della televisione di stato russa, modifichi la voce di Wikipedia relativa al disastro, attribuendo la responsabilità ai soldati ucraini. Non c’è alcun dubbio: la Russia è vittima di una macchinazione.

Letta sotto questa luce, la stessa oscura vicenda del volo MH17 appare sorprendentemente chiara. È il coup de théâtre, lo scacco matto pianificato dagli Stati Uniti (dalla CIA, ovviamente) all’interno del grande complotto ordito contro la sua storica nemica. È stato tutto preparato alla perfezione: l'aereo esploso in Ucraina altri non è che il volo MH370 della Malaysia Airlines scomparso l'8 marzo nell'oceano indiano.

Dirottato dagli americani, il boeing 777 è stato fatto atterrare nella “segretissima” base americana sull'isola Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, quindi fatto ricomparire, come per magia, in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur, con a bordo i cadaveri dei passeggeri morti tre mesi prima e una bomba, da far esplodere proprio sopra l'Ucraina, per scaricare bellamente la colpa sui ribelli pro-russi. La prova schiacciante è il ritrovamento dei passaporti delle vittime sul luogo del disastro, perfettamente intatti nonostante lo schianto, come se fossero stati stampati di fresco e buttati alla rinfusa tra i rottami da qualche agente segreto americano (probabilmente con addosso una mimetica ottica).

“Si può sempre fare affidamento su un governo sano per rigettare le teorie del complotto”, scrive Eliot Borenstein. “Un governo malato, invece, aiuta a diffonderle”. Come nella trama di uno dei libri di fantapolitica scritti da Fedor Berezin, un ex ufficiale dell'Armata Rossa, ora leader dei separatisti di Donetsk, la madrepatria Russia si prepara a combattere la battaglia finale contro l'Occidente. Immaginaria o meno. 

 

 

Foto: Flickr

 


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