Il caso Cancellieri testimonia quanto l’Italia sia caduta in basso

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mercoledì 6 novembre 2013

Il Ministro della Giustizia ha ricevuto la notizia di una detenuta a rischio e ha segnalato il caso al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ha fatto bene o ha fatto male? Difficile da dire, e nel Paese delle mille contraddizioni è difficile dirlo di molte altre cose. Di sicuro, il (non) "caso della Cancellieri” è una perfetta sintesi del regresso socioculturale che da vent'anni contrassegna la cosiddetta Seconda Repubblica, e per due motivi.

In primo luogo, l'affaire Cancellieri certifica l'impossibilità nel nostro Paese di affrontare un dibattito pubblico senza schierarsi in due opposte tifoserie, che poi sono sempre le stesse: da una parte gli ultrà del centrosinistra e dall'altro quelli del centrodestra, in teoria divisi su tutto e in pratica tutti col naso all'insù verso la stella polare di Berlusconi.

Attraverso la discolpa per l'ex prefetto di Bologna, i berluscones (falchi, colombe o polli che siano) agognano l'indulgenza verso il loro Grande capo, inventando un parallelismo tra i due episodi semplicemente inconcepibile. Qualunque persona sana di mente è capace di distinguere tra un Ministro che sollecita un intervento per una detenuta a rischio della propria vita e un Primo Ministro che ottiene la liberazione di una prostituzione arrestata per furto millantando una parentela con un Capo di Stato estero. O almeno, in un Paese normale lo è. Già, in un Paese normale

Nessuno poi sembra cogliere una stridente incoerenza. In marzo, nel corso delle convulse trattative per la formazione del governo Letta, emerse l'evidente sgradimento del Pdl per la figura della Cancellieri. La ragione? Aver sciolto ben 33 comuni per infiltrazioni mafiose, quasi tutti amministrati proprio dal centrodestra, tra cui quello di Reggio Calabria - il più grande comune mai sciolto per mafia - retto da un sindaco Pdl, erede del governatore in carica Scopelliti. Oggi invece i pidiellini sono tutti con la Cancellieri. Potenza dell'incoerenza.

Inoltre, nessuno nota che il caso Cancellieri è noto grazie a una telefonata intercettata dalla procura di Torino, una telefonata che non avremo mai dovuto nemmeno conoscere. Perché si tratta di un’intercettazione telefonica penalmente irrilevante, che per tale ragione non doveva essere trascritta né tanto meno pubblicata dalla stampa. Ma nessuno ci ha fatto caso. Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di intercettazioni solo perché inerenti alle vicende private di Berlusconi, dimenticando che l'intercettazione, codice di procedure penale alla mano, è un mezzo di prova. Dovrebbe servire al processo per dimostrare una colpevolezza, non ai giornali per vendere un paio di copie in più. Invece negli ultimi anni è diventato un mezzo di ricerca della prova, andando ben oltre i limiti consentiti dalla legge, e infine un mezzo di ricerca dello sputtanamento. Ma nessuno ci fa più caso. Anzi, chi nota queste anomalie finisce pure per essere assalito dagli ultrà del centrosinistra. 

Inutile stupirsi. Ultimamente sembra diventato impossibile discutere di un tema senza dover per forza buttare tutto in vacca. La riflessione è bandita, e dunque largo agli slogan e alle (pseudo) ideologie; unico mezzo possibile per sintonizzarsi sullo stile espressivo (e cognitivo) dell'italiano medio.

Passiamo al secondo motivo. Ripeto: io non so se la Cancellieri abbia fatto bene o no, non mi sento di dirlo. Ma provo a rifletterci. E per riflettere serve farsi delle domande, come quelle che il direttore del Post Luca Sofri si pone sul suo blog. Domande che a me ne hanno fatta sorgere un'altra: in Italia un detenuto affetto da un problema deve per forza invocare il Ministro, senza che l'amministrazione penitenziaria contempli altre figure intermedie (es. il direttore del carcere o il personale di servizio) a cui rivolgersi?

La Cancellieri ha più volte ribaditio di essere intervenuta in oltre cento analoghi casi in tre mesi, ma i detenuti ospitati nelle carceri sono molti, molti di più (ufficialmente 65.891, ossia 18.851 in più rispetto ai 47.000 posti disponibili). Quasi nessuno dei quali con il numero privato del Ministro in rubrica.

Una volta si telefonava al potente amico per avere un favore. Giulia Ligresti no. Nel suo caso la scarcerazione era un diritto, non un privilegio, stante la sua precaria situazione di salute. Diritto che in teoria spetterebbe a tutti i detenuti in analoghe condizioni, ma che la Giustizia italiana non può e non è in grado di assicurare. Non rimane che l'intercessione del Ministro. 

Ma chi non può telefonare al Ministro non può permettersi questo diritto. Ieri l'intercessione di un Ministro garantiva privilegi, oggi invece serve a salvaguardare i diritti. In altre parole, lo scadimento politico, amministrativo e culturale della nostra società ha fatto sì che in Italia i diritti diventassero i privilegi di pochi, nell'incapacità dello Stato di assicurarli a tutti.

È questa la lezione più amara che il caso Cancellieri ci lascia.

 

Foto: Aapo/Flickr


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