Il bisogno indotto della guerra

par Pressenza - International Press Agency
lunedì 26 maggio 2025

Analizzare i modi attraverso cui l’industria automobilistica, e in Italia dire auto nel XX secolo è dire FIAT, si è imposta a partire dagli inizi del ‘900 è emblematico rispetto alle modalità di affermazione del sistema capitalista.

di Giuseppe Paschetto

di Paul Sableman

Il paesaggio modellato con le infrastrutture necessarie allo sviluppo del settore (strade, autostrade, ecc.), solidi legami col potere politico (meglio se di destra ma con capacità di adattarsi ai differenti schemi politici), attività di lobbying, creazione del bisogno in modo tale da renderlo insopprimibile, l’affermazione di una immagine di modernità in contrasto con la mobilità del passato basata su treni e tramvie.

Spostiamo ora l’attenzione sull’ambito trainante dell’economia capitalista del XXI secolo: l’industria delle armi. Il complesso militare-industriale è legato a filo doppio a un’economia di guerra. E’ tutto sommato l’applicazione del modello consumista, la guerra è la situazione in cui le armi si usano e si consumano incentivando sempre più massicce produzioni. Pensiamo che l’impulso al sistema industriale delle armi sia data da un fatto ineluttabile, ovvero la presenza dei conflitti armati in giro per il mondo, conflitti dovuti al nazionalismo, conflitti religiosi, etnici, politici. In realtà occorre invertire il nesso causale.

Le guerre ci sono poiché indotte dal sistema industriale militare. In una logica capitalista che guarda al profitto e all’accumulo di dividendi al di là di qualsiasi valutazione etica è nella natura delle cose favorire situazioni di instabilità che portino poi a conflitti armati. Non è poi così difficile farlo per il potentissimo sistema industriale di produzione di armi. Gli addentellati con la politica sono evidenti, le possibilità di giocare a tutto campo sugli scenari mondiali sconfinate. E’ quanto è avvenuto solo per fare un esempio di drammatica attualità in Ucraina.

Tendiamo a vedere solo ciò che è palese ma chi ha favorito l’instabilità e la drammatica apertura di conflitti armati è chi può fornire a dismisura armamenti guadagnando somme che si misurano nell’ordine delle migliaia di miliardi. E dove sperimentare al meglio i nuovi sistemi d’arma se non sul campo…di battaglia. Le vittime civili e militari e la distruzione di beni materiali come test di innovativi “prodotti”. E non ci sono solo missili, artiglieria pesante, armi convenzionali. Già hanno fatto irruzione da qualche anno i droni che permettono di far strage senza rischio alcuno. Ma ora la nuova frontiera è fatta di iper-tech, intelligenza artificiale, armi cyber, big data, e questo lo avevano detto ad esempio Taiani e Crosetto. Avevano invitato a tener conto del fatto che attrezzarsi per la difesa non significava solo missili e cannoni ma appunto un bel po’ di innovazioni immateriali.

Ah, ora stiamo meglio! Il complesso militare-industriale influenza le politiche di investimento dei governi e la stessa percezione dei bisogni e dei rischi della popolazione. Interviene a tutto campo. E’ capace di far passare la “pubblicità” di una Russia che sta per attaccarci e da cui occorre difenderci investendo 800 miliardi in armi, indicendo quindi nella popolazione un bisogno che è percepito come reale anche se ciò è solo negli interessi economici di qualcuno. Ma fa breccia e la fa persino tra le forze progressiste che non si sottraggono alle sirene del riarmo. E’ in grado grazie al legame a doppio filo con gli eserciti di azioni pervasive anche a livello educativo. Sono diventate normali oramai le “lezioni” dei militari nelle scuole, le visite didattiche alle forze armate e via dicendo. E fanno passare l’imprescindibile difesa del Paese per difesa dei confini (minacciati in realtà solo dai poveri cristi che arrivano da sud e da est) mentre la vera difesa dovrebbe essere a favore della salute, della scuola, dell’ambiente.

Naturalmente più soldi per le armi significa meno investimenti in sanità, scuola, ambiente , lavoro. Ma tutto sommato un popolo meno sano, più povero, più depresso, meno istruito, che viva in un ambiente degradato, si manipola meglio. Sarebbe sbagliato però pensare di invertire la rotta considerando il sistema industriale militare come un problema a sé. Creazione del bisogno, interconnessione del sistema economico con quello politico, attività lobbistica, consumismo, sono pilastri del sistema capitalista per cui è quello che va rovesciato.

L’obiettivo non può che essere il comunismo. Non ovviamente quello burocratico e autoritario di sovietica memoria. Ma piuttosto il comunismo dei beni comuni, della decrescita e del marxismo ecologista teorizzato dal filosofo Sito Kohei. In ballo questa volta non ci sono solo le sorti del proletariato ma la sopravvivenza stessa dell’umanità.


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