Il Tg1 attacca il web, ma fa vedere video tagliati

par Angelo Cimarosti
venerdì 17 dicembre 2010

L'edizione delle 20 del Tg1 di giovedì 16 dicembre ha lanciato un attacco a testa bassa contro il Web 2.0, contro i filmati che girano in rete e il citizen journalism, il giornalismo partecipativo, nel suo complesso.

Per farlo ha utilizzato un servizio, messo in grande evidenza, con il lancio-tesi molto semplice e chiaro: “Bufale sul web”. La giornalista “analizza”, se possiamo usare questo termine, i filmati che in questi giorni sono stati caricati sui siti di condivisione, a cominciare da YouTube, passando per YouReporter ed altri ancora, utilizzati a man basse nel pezzo per illustrare le tesi della cronista.

La “sentenza” è questa: “si sono rivelati delle bufale”. Nel servizio del principale telegiornale nazionale succede però una cosa molto interessante. Le immagini che si vedono non sono quelle originali, caricate in rete. Viene mostrata una sequenza di un manifestante a terra, fermato dalle forze dell'ordine. Sul filmato originale uno degli agenti schiaccia con gli anfibi la testa del soggetto sull'asfalto. Nel filmato trasmesso dal Tg1 - lo stesso - l'inquadratura è molto allargata, e la parte più significativa della scena, l'anfibio in testa, scompare magicamente dal video. Il confronto tra le due immagini è impressionante. Giornalisticamente parlando, questa, e non altre, è una bufala. Ma è una bufala “evoluta”, non sappiamo se costruita o casuale. Se fosse costruita, ovviamente, il fatto sarebbe ancora più grave. Da cronista non sono abituato alla cultura del sospetto ma solo all'acquisizione di fatti, e al loro racconto. Qui mi veniva spontaneo rilevare questa curiosa incongruenza: per attaccare i filmati su internet, le “bufale”, si usa un servizio montato con una bufala.



Il Tg1, come altri, utilizza spesso immagini dalla rete, da YouTube, da YouReporter. A volte senza citare la fonte, altre volte togliendo il logo. Anche in questo caso, “allargando” le immagini. Deve essere un vizio da quelle parti. Il giornalismo partecipativo, il citizen journalism, ha lo scopo di mostrare delle cose, questo è il motivo che spinge tante persone a inviare filmati e foto ai siti di condivisione. Si desidera diffondere il più possibile una storia, una testimonianza visiva, anche un'opinione. Quello che il servizio del Tg1 dimostra, oltre ad una certa maldestra trattazione di una notizia, è che il più visto telegiornale italiano non sa cosa sia il Web 2.0. I filmati caricati sono come dei post-it messi su una bacheca dagli utenti. Solo che invece di essere dei foglietti gialli sono in forma “elettronica”, video e foto che siano.

Non vengono “vagliati”, lavorati editorialmente da una redazione. Ognuno manda il suo lavoro, a volte il semplice “girato”, casuale, a volte un “montato”, professionalmente più sviluppato. C'è la clip casuale di un incidente catturata da un telefonino, magari sgranata e buia, e c'è il filmato fatto in Hd da una telecamera magari professionale o quasi. C'è lo scoop, come c'è la storia minore di un cestino non svuotato da giorni sotto il proprio palazzo. C'è il mondo, c'è la vita. E ci sono anche, ovviamente, le eventuali “bufale”, materiale lavorato, o parziale, o fuorviante.

Sta ai giornalisti delle redazioni, per esempio a quella del Tg1, che non è piccola, controllare le fonti, metterle a confronto, valutare la fonte della notizia. Sono loro ad avere un compito molto alto, nobile, serio. Quello di fare bene il loro mestiere, riconoscere i video tra le centinaia di migliaia caricati in rete. Vedranno che la maggior parte sono inviati senza altro fine se non quello di raccontare ciò che si vede. E sapranno isolare i “fake” o le cose in malafede, che non mancano. Anche, purtroppo, nei servizi dei Tg più blasonati.


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