Il Porcellum. Perché è stato possibile?

par Antonio Moscato
venerdì 6 dicembre 2013

I commenti alla decisione della Corte Costituzionale sulla stampa sono molti, ma quasi tutti elusivi e imbarazzati. Pochi si domandano come mai solo dopo sette anni e l’utilizzazione del Porcellum in tre elezioni, la Corte Costituzionale si è accorta che si trattava di una legge antidemocratica, oltre che in contrasto con la costituzione.

Logicamente ci si può chiedere se non è il caso di dubitare del dogma della indipendenza della magistratura, a tutti i livelli, e in particolare a quelli alti, a cui si accede con una difficile selezione che tiene molto conto della sensibilità alle esigenze del potere reale. E inoltre: perché Napolitano, tanto generoso nel dispensare prediche, aveva rinunciato a denunciare questa legge assurda che ha riempito le aule parlamentari di gente come Razzi o Scilipoti? Che sono emblematici, ma ce ne sono un po’ dovunque…

In realtà questa legge elettorale assurda era solo l’ultima mossa di un gioco cominciato nel lontano 1988 per modificare in senso maggioritario la buona legge elettorale in vigore per i primi decenni della Repubblica, e che la DC, con l’appoggio del PRI del PLI e del PSDI aveva invano tentato di far saltare con la cosiddetta “Legge truffa”.

A partire dal 1988 a promuovere una serie di referendum, in parte dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale, era stato un democristiano di provincia, Mario Segni, figlio di quell’Antonio Segni che come Presidente della Repubblica aveva trescato con il generale golpista De Lorenzo, prima di doversi dimettere per motivi di salute.

Ma il figlio Mario era considerato da tutti una nullità assoluta, e non godeva di particolari consensi neppure nel suo feudo di famiglia, Sassari (dove non riuscì a essere eletto, quando c’erano ancora le preferenze…). Dietro di lui a garantire il successo c’era la ancora efficiente macchina organizzativa di un PCI che stava correndo verso la Bolognina e il dissolvimento, e anche l’appoggio di un certo numero di esponenti del mondo intellettuale e politico italiano assurdamente considerati autorevoli: altre nullità famose come Luca Cordero di Montezemolo o Antonino Zichichi, il socialista Giuseppe Tamburrano, e uno dei padroni della FIAT, il democristiano Umberto Agnelli. Anche alcuni intellettuali prestigiosi nel loro campo, ma col diritto di non sapere e non capire molto di politica, avevano firmato un “manifesto dei 31” promosso da Mario Segni contro il proporzionale: tra essi Rita Levi Montalcini e il rettore a vita dell’università di Urbino Carlo Bo.

Ma quello è stato solo l’inizio. Nel quarto di secolo successivo la ex sinistra ha concordato con la destra ben più che cattive leggi elettorali (naturalmente fingendo di subirle ma evitando di cambiarle appena tornata in maggioranza, esattamente come è accaduto col Porcellum). Si pensi a tutte le chiacchiere vane sul federalismo, che ha aperto la strada all’attuale situazione di sperperi e vergognose ruberie a tutti i livelli, e di cui non c’era nessun reale bisogno. Il federalismo avrebbe avuto un senso nei primi decenni dell’Italia unita, per armonizzare realtà molto diverse, ora è servito solo come concessione non necessaria all’ideologia della destra leghista e non solo.

Tra i luoghi comuni reazionari fatti propri con zelo dalla ex sinistra c’è anche l’avversione al proporzionale, a cui si attribuisce ogni male. In realtà la famosa instabilità della “prima repubblica” era dovuta non al proporzionale, e ai piccoli partiti, ma ai conflitti interni alle diverse bande associate nel maggior partito della borghesia, la DC, che nonostante il “manuale Cencelli” rimettevano spesso in discussione gli accordi precedentemente stipulati per la divisione delle cariche pubbliche e del bottino negli Enti e nelle aziende a partecipazione statale. Quando comincia a divenire condiviso dalla maggioranza parlamentare l’attacco al proporzionale, stava nascendo il PRC, che non seppe contrastare quell’ondata: in genere criticava le specifiche proposte, ma ne accettava la logica, proponendo magari una soglia di sbarramento del 4% invece che del 5%, senza sospettare che un giorno avrebbe pagato caro quel minimalismo. Insomma, non faceva una robusta campagna in difesa del proporzionale, ma si limitava a proporre ritocchi al maggioritario.

Anche l’altro aspetto che oggi la Corte Costituzionale ha scoperto indecente, l’impossibilità di scegliere il proprio deputato, non era stato contrastato con energia. In realtà, in misure diverse, ai gruppi dirigenti di tutti i partiti faceva comodo di scegliere chi far eleggere. I difensori di questo metodo ripetono che è in vigore in molti paesi, ed è vero, ma la ragione è che gli attacchi alla democrazia, anche nelle sue forme elementari, sono in atto in tutti i paesi. Il primo ad aver adottato questo metodo, già moltissimi anni fa, fu lo Stato di Israele, assurdamente spacciato come l’unica democrazia del medio oriente. I risultati si sono visti, con uno spostamento costante verso destra facilitato dalla soppressione di ogni possibilità di essere eletti per i candidati più ragionevoli, collocati agli ultimi posti nelle liste di ciascun partito.

Un’ultima considerazione: il M5S non ha avuto un buon ruolo in questa vicenda. «I “grillini” rispettano le Istituzioni come nessun altro», assicura sul suo simpatico blog Alessandro Di Battista. Sarebbe meglio che le rispettassero meno, non sono più rispettabili di quanto siano “onorevoli” la maggior parte dei deputati e senatori. Farebbero meglio a criticarle più a fondo, invece di reagire ad alcune provocazioni con proteste quasi goliardiche di occupazioni di banchi ed esposizioni di striscioni, utili solo a far saltare i nervi alla perbenista Boldrini.

Credo sia stato scandaloso e controproducente che per un certo periodo Beppe Grillo abbia sposato, sia pure con un argomento non campato in aria, l’ipotesi di votare subito col Porcellum, e non mi convince neppure che ora il movimento abbia già scelto il Mattarellum, ugualmente antidemocratico, senza avere il coraggio di denunciarne la logica sostanzialmente maggioritaria (con un piccolo correttivo).

Mi sembra che in tutti e due i casi abbiano rinunciato a presentarsi davvero come alternativi, accettando la logica di sistemi elettorali concepiti proprio per escludere le minoranze, sapendo di poter beneficiare di un premio di maggioranza. Può essere che lo ottengano, ma non è un bell’esempio.

 

Illustrazione: Bertelli, 2011


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