Il Paese senza classe dirigente

par Bernardo Aiello
venerdì 1 ottobre 2010

«Viviamo un momento difficile, pesante, non vorrei esagerare, drammatico per certi versi. La lettura che abbiamo dato preparando le Settimane Sociali è che a noi, oggi, l’Italia appare un Paese senza classe dirigente, senza persone che per il ruolo politico, imprenditoriale, di cultura, sappiano offrire alla nazione una visione, degli obiettivi condivisi e condividibili».

Edoardo Patriarca, segretario delle Settimane Sociali dei cattolici italiani.

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Esaminiamo i cinque punti oggetto di cotanto recente scontro nelle aule della democrazia parlamentare del nostro Paese.

Punto n. 1: La giustizia. Sembrerebbe che il governo, dopo una prima riforma del processo civile, si accinga a separare nettamente la Magistratura Inquirente da quella Giudicante nel processo penale, giungendo persino a distinguere il Consiglio Superiore della prima da quello della seconda con legge costituzionale. A questo punto il cittadino vorrebbe capire il significato della riforma del processo amministrativo partita lo scorso 16 settembre: il premier non la cita nemmeno una volta ed allora o fa il modesto o si tratta di una riforma alquanto inconsistente. In quest’ultima ipotesi la delusione del cittadino sarebbe enorme. Ciò detto, chiunque abbia mai avuto per avventura una qualche esperienza con il sistema penale del nostro Paese, sa benissimo che esso è praticamente al collasso e che una ancor più netta separazione fra accusa e giudice è certamente necessaria, ma trattasi pur sempre di “pannicelli caldi”. E che per scrivere dei mali della giustizia penale italiana non basterebbe una intera biblioteca. Intanto si prepara una norma costituzionale che tutela le più alte cariche dello Stato ; ma chi e cosa tutelerà il cittadino dagli infiniti casi di mala-giustizia ?

Punto n. 2: Il federalismo. Non è difficile concordare con il premier che, in effetti, il problema in questione altro non è che la mancata attuazione del principio di sussidiarietà, recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 118 della Costituzione. Questo principio, mutuato dalla teologia morale cattolica e ripreso dall’Enciclica Quadragesimo anno di Papa Pio XI, prevede che le decisioni politiche siano prese il più vicino possibile ai cittadini, lasciando che il potere appartenente ad un livello superiore si occupi solo delle materie che devono per necessità di cose essere trattate al suo livello. Inutile dire che l’applicazione di questo principio avvicina gli enti di livello inferiore ai bisogni del territorio e che favorisce l’attività degli enti intermedi anche non pubblici (ad esempio la famiglia e le associazioni). Quello che manca, rispetto alle pretese di taluni movimenti populisti, è l’esigenza di riconoscimento di sovranità sotto-nazionali (come accade negli Stati Uniti ed in Germania); a meno di non voler riconsiderare il Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie, la Repubblica di Venezia e via dicendo (nessuna nota storica su un ipotetico Stato di Padania). Ovviamente non si può dire che sia quello sulla sussidiarietà il solo punto della Costituzione non adeguatamente attuato. Purtroppo.

Punto 3. Il Mezzogiorno. Dopo centocinquanta anni di Questione Meridionale, la considerazione del premier è che al Sud mancano le regole e le infrastrutture. Una analisi abbastanza stringata, che racchiude in un unico periodo libri su libri, convegni e studi (SVIMEZ compresa), e quant’altro. Basterà completare la Salerno – Reggio Calabria (perché mai hanno riso in tanti a questa affermazione?) ed attendere che nel 2020 circa sia stato fatto, collaudato e messo in esercizio il ponte sullo stretto di Messina : così facendo il problema si risolverà da solo.

Punto 4. La riforma fiscale. Su questo tema le idee sono chiare: occorre introdurre il cosiddetto “quoziente familiare” senza aggravare il deficit pubblico. Sembrerebbe in programma un trasferimento di carico fiscale dai single e dai nuclei familiari formati da poche persone ai nuclei familiari più numerosi. Giusta cosa senza dubbio, ma intanto la storiella del “debito pubblico stabilizzato” a Bruxelles non se la bevono più: dobbiamo tirare la cinghia e cominciare a restituire il denaro preso in prestito dallo Stato. E senza fare tante storie : il Belgio lo ha già fatto tempo addietro, riducendo il suo debito pubblico al 60 % del P.I.L.. Poi vi è la riforma della fiscalità dei comuni, con una improbabile cedolare secca sugli affitti ipotizzata alla percentuale marginale del 20 % sotto la spinta di uno dei partiti di governo, alla ricerca di consenso come talune televisioni che trasmettono a tarda notte spettacoli osè alla ricerca di audience. Nessuna concessione alla necessità di ridistribuire “orizzontalmente” la pressione fiscale, anzitutto spostandola dal lavoro e dagli investimenti alle rendite. Anzi, che valga l’opposto.

Punto 5. La sicurezza. Difficile riuscire a capire quali novità saranno introdotte nel Paese su questo argomento. Abbiamo un sistema carcerario vergognoso (non si contano più i suicidi dietro le sbarre) e forze dell’ordine che, un poco come il Sud, faticano esse stesse a seguire le regole: ogni tanto spaccano teste che proprio non c’entravano. Ciò detto senza nulla togliere ai significativi successi che esse hanno ottenuto contro la criminalità organizzata e che sicuramente reitereranno in futuro senza alcuna riforma governativa.

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In conclusione l’impressione dei cittadini è che abbia ragione Edo Patriarca : stanno passando un momento difficile, ma, soprattutto, nessuno gli mostra obiettivi condivisi e condividibili.


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