Il Marco Travaglio Furioso. La puntata di ieri di Servizio Pubblico

par paolo
venerdì 17 ottobre 2014

Il grande giornalista, il bastonatore della politica e del malaffare, il depositario di ogni verità , vera o presunta, questa volta ha talmente esagerato nel suo delirio autoreferenziale che perfino Michele Santoro, suo antico amico e sodale, alla fine ha perso le staffe. 

In principio fu una voce fuori dal coro che ho sinceramente ammirato, soprattutto perché diceva ciò che la stampa, più o meno di regime, non voleva si sapesse. Poi ne ho ammirato l'indubbia competenza su argomenti delicati come quello della giustizia italiana, terreno infido per chiunque giornalisticamente ci si infili; poi il ruolo di "bocca della verità" che si era sapientemente, e aggiungo io anche meritatamente, ritagliato ha cominciato tuttavia a prendergli un po' la mano.

Insomma, come spesso capita ed è umanamente comprensibile, l'uomo ha cominciato a prendersi troppo sul serio. Ho trovato per esempio via -via sempre più fastidioso quel monologo durante il quale puntava il dito accusatore a destra e manca senza uno straccio di dialogo o di confronto; "il pezzo di Travaglio", così come proprio lo introduceva lo stesso Santoro per creare il patos dell'attesa e con lui che alla fine di ogni sua performance, deliziato esso stesso del suo virtuosismo di cronista meticoloso, con il sorrisetto compiaciuto quasi chiudeva con il fatidico "hep!" di chi si aspetta dovuta riconoscenza. Scroscio di applausi del pubblico presente.

Premetto che non intendo discutere le qualità giornalistiche di Marco Travaglio, non ho certamente titolo per farlo, ma non sono neanche uno disposto a sciropparsi la "pozione mediatica" senza spirito critico.

Il fattaccio, se così si può definire, è accaduto ieri sera nel corso della trasmissione di Santoro su La 7, che comunque rimane un talk show che mantiene un certo appeal, anche se ha perduto gran parte del suo pubblico più affezionato. L'argomento di fondo era l'alluvione di Genova con ospiti in sala e, in collegamento esterno, le testimonianze di cittadini imbestialiti per le solite carenze della politica e le lungaggini della burocrazia di fronte a drammi annunciati che nessuno sembra in grado di arginare. Nel ruolo scomodo di turno si è trovato il Presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, esponenete del PD con alle spalle una lunga carriera di incarichi istituzionali.

Su di lui si sono concentrati gli strali di Travaglio e se ciò era del tutto prevedibile, quello che ha colpito è stata l'acredine, direi la cattiveria con la quale l'illustre giornalista si è avventato sull'osso. Lui accusava e Burlando cercava di chiarire i contorni di vicende piuttosto complesse che chiamano in causa l'incuria, gli errori politici, ma anche lungaggini legate a sentenze del TAR: ricorsi, controricorsi ecc.. Insomma la solita Italia. Alla fine a tutti, pure a Santoro e ad alcuni giovani genovesi presenti in sala, è apparso chiaro che l'interesse di Travaglio stesse debordando dal ruolo puramente giornalistico per entrare in una dimensione diversa. Una dimensione probabilmente figlia di una scelta politica di vicinanza al M5S, sostenuta dal Fatto Quotidiano organo di informazione che ospita la sua prestigiosa firma.

Ad un certo punto, di fronte alle puntualizzazioni calme e pacate, e direi per certi versi anche convincenti di Burlando, il nostro ha cominciato a dare in vere e proprie escandescenze. Dopo avere accusato Burlando di tutti i guai legati ad uno sviluppo edilizio disordinato ed incurante del territorio di Genova, anche se nella prima alluvione del fiume Bisagno nel quartiere di Marassi Burlando aveva solo sedici anni, lo ha attaccato sul piano personale, per stigmatizzarne l'inidoneità a ricoprire ruoli di reponsabilità. Ricordò quando Burlando nel settembre del 2007 imboccò contromano lo svincolo autostradale sulla A10, rischiando uno scontro frontale. Per il fatto fu multato e sanzionato anche perché sprovvisto di patente e documento di riconoscimento, a parte una vecchia tessera di deputato scaduta. Allora il fatto venne inevitabilmente strumentalizzato politicamente, ma in una serata televisiva di sette anni dopo ed in un contesto particolare come la tragedia di Genova, l'ho trovata una assoluta caduta di stile del giornalista, a prescindere e decisamente fuori luogo.

Visto che una certa solidarietà a Burlando era arrivata, direi inaspettattamente, dai giovani genovesi presenti in studio peraltro alquanto critici nei confronti di politica e burocrazia, Travaglio ha inasprito il suo assalto con toni sempre più concitati tanto che il tutto è apparso, ad un certo momento, come una vera e propria aggressione personale. A questo punto un irritato e spazientito Santoro, che aveva più volte inutilmente richiamato Marco ad una maggiore disponibilità al confronto delle idee, è sbottato di brutto. Di fronte alla dura chiamata all'ordine del conduttore, Marco Travaglio è scattato in piedi come una molla ed ha preso velocemente l'uscita, abbandonando la trasmissione. Evidentemente non è abituato a sentirsi riprendere e probabilmente è finito un sodalizio che durava da anni, anche se questo non ci toglierà il sonno.

Ho avuto insomma la netta impressione che la "ferocia accusatoria", mi sia consentito il termine, di Travaglio nel cercare di mettere sotto Burlando, non fosse la legittima denuncia e ricerca della verità di un giornalista attento e puntuale quale lo si riconosce, ma che fosse mossa da un pregiudizio politico. Un pregiudizio, questa la mia valutazione personale, in qualche modo riconducibile ad una sintonia politica con Beppe Grillo, che poche ore prima a Genova era stato sonoramente contestato e fischiato.

Insomma una sorta di camera di compensazione perché non passasse il messaggio che il politico PD di turno la facesse franca mentre il "fanculatore" Grillo veniva bastonato. Può essere indubbiamente che mi sbagli ma, come peraltro si è ben guardato di fare lo stesso Grillo, Travaglio non ha usato lo stesso metro di giudizio, neppure citandolo, per il sindaco di Parma Pizzarotti (M5S) che pure ha vissuto un dramma paragonabile a quello di Genova.

E qui trovo alquanto curioso, ma rivelatore del clima politico in atto, che mentre Grillo chiede le dimissioni del sindaco di Genova Doria, peraltro in carica da poco tempo, la stessa cosa non l'abbia fatta nei confronti del sindaco pentastellato di Parma Pizzarotti, in carica da due anni. Come dire due tragedie dello stesso tipo ma con giudizi politici diversi.

Adesso con questo non voglio dire che Marco Travaglio sia giornalisticamente ridimensionato, me ne guardo bene, ma certo bisognerà tener conto di questa sua avvenuta mutazione genetica, anche se per la verità i suoi detrattori lo hanno sempre sostenuto. Ma era più teoria che altro, tanto che il Travaglio di "destra" , nato giornalisticamente alla corte di Indro Montanelli, notoriamente uomo di destra, veniva accusato di simpatie "sinistrorse". Una ambiguità che quindi era il miglior spot di libertà di pensiero, di asssenza di condizionamenti ideologici.

Comunque io continuerò a leggerlo e ad ascoltarlo, anche se però da una prospettiva diversa.

 

 

 


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