Il DEF coi fichi secchi

par Phastidio
venerdì 5 maggio 2023

Tra micro tesoretti e gradoni contributivi a orologeria, si conferma che mancano soldi per le epocali riforme promesse su fisco e pensioni. "Ambizione responsabile" is the new "vorrei ma non posso"

 

Martedì 11 aprile il consiglio dei ministri ha licenziato il Documento economico e finanziario (DEF), antico rito in cui desideri e realtà si fronteggiano, e alla fine la seconda vince. Al momento manca il documento [EDIT 13 aprile: vedi aggiornamento in calce al post], quindi non abbiamo modo di verificare lo scenario macroeconomico utilizzato dall’esecutivo e in particolare le cosiddette variabili esogene quali cambio dell’euro, commercio internazionale, prezzo del greggio. Li conosceremo nei prossimi giorni. Per il momento, valutando sulla base dei numeri portanti comunicati dal governo, possiamo dire che prevale la prudenza e i sogni vengono riposti nel cassetto, in attesa di finire nel cestino della spazzatura.

Non fraintendetemi: vedo già alcuni tra voi scuotere la testa e commentare “che avresti preferito, uno strappo di deficit per fare esplodere lo spread e poi dire che lo avevi detto?” Nulla di ciò, tranquilli. Anzi, sono davvero sollevato. Ma ciò non mi esime dal segnalare il golfo tra le promesse elettorali bercianti e le orecchie basse della stanza dei bottoni (finti). Per tutto il resto, a colmare il gap, ci sono propaganda e giullari di corte.

IL MOLTIPLICATORE DELLE DECONTRIBUZIONI

Nello scenario tendenziale, a legislazione invariata, il Pil nel 2023 crescerebbe dello 0,9% con un deficit-Pil al 4,35%. Debbo confessare che, ogni volta che vedo un secondo decimale in una previsione ufficiale del governo, sudo freddo sorridendo e rimembrando l’era demenziale della lotta alla povertà e dello stress test da carico applicato alla soletta di un balcone di Palazzo Chigi. Bei tempi, eravamo tutti più giovani e più stupidi. O forse diversamente stupidi, perché progressi particolari in quella dimensione non riesco a vederne.

Il governo Meloni disegna un quadro programmatico con crescita del Pil a 1%, che ieri qualche giornale è riuscito a definire “soglia psicologica”, facendoci fare il tifo per ChatGPT e il suo progetto di sterminio del cosiddetto giornalismo. Il deficit viene alzato al 4,5% del Pil, liberando circa 3 miliardi. Se avete sottomano un tovagliolo, meglio se di carta, fate questo conto: un aumento di deficit dello 0,15% induce un aumento del Pil dello 0,1%. Con un complesso e improprio algoritmo, il moltiplicatore è pari a 0,6 periodico.

Questi tre miliardi andranno a ridurre i contributi sociali dei lavoratori a redditi medio-bassi per l’anno in corso. Gira voce che il beneficio arriverà in busta paga a maggio, quindi i tre miliardi sono applicati su otto dodicesimi di anno, e valgono quindi di più. Non si conosce la soglia di reddito beneficiata. Ricordiamo che sino al 31 dicembre opera un alleggerimento del 3% su redditi sino a 25 mila e del 3% sino a 35 mila.

Come i più intuitivi tra voi avranno colto, stiamo ponendo le basi o per un terrificante gradone contributivo nel 2024 oppure per un nuovo impegno di spesa ineludibile: rinnovare la decontribuzione anche il prossimo anno. Ricordate gli 80 euro di Matteo Renzi poi diventati cento con Giuseppe Conte? Ecco, questa è un’altra voce di spesa rigida.

SE AVANZO PRIMARIO, SEGUITEMI

Il bilancio pubblico è poi minacciato da una voce che per noi italiani è un’ipoteca: la spesa per interessi. Vi copio incollo quanto scrive oggi sul Sole Gianni Trovati:

[…] la spesa per interessi, che negli anni dei tassi a zero viaggiava tranquilla poco sopra i 60 miliardi all’anno, salirà dai 74,7 miliardi del 2023 ai 91,3 del 2025 per sfondare il muro dei 100 miliardi annui nel 2026. Rispetto alle ipotesi di dodici mesi fa, si tratta di 66,9 miliardi in più nel solo triennio 2023-25.

Servono commenti? Credo di no. Avremo tuttavia quelli dei cortigiani che diranno “ma noi volevamo farvi ricchi e pensionati prima dei sessant’anni, ma c’è la Bce cinica e bara”. Dove bara è lemma polisemantico. Ancora più interessante appare la voce “avanzo primario” prevista dal governo nell’arco di piano del DEF. Il debito-Pil al 2026 è previsto programmaticamente dal governo al 140,6%. Quindi la tendenza alla discesa prosegue, pur se sempre più lieve e fragile. Ma, attenzione: per arrivare a questo numero a fine arco temporale, l’esecutivo Meloni torna a sfoderare l’arma nemmeno troppo segreta dell’autosoffocamento italiano: l’avanzo primario.

Avanzo primario che salirà dallo 0,3% del Pil dell’anno prossimo (6 miliardi) al 2% previsto per il 2026 (quasi 45 miliardi). Cioè quarantacinque miliardi sottratti all’economia nazionale, more solito, mentre siamo qui a giocare con lo 0,15% di deficit in più per portare a casa il rumore econometrico della “soglia psicologica” di una crescita all’1%.

Questo avanzo primario serve come airbag per attutire l’impatto sul debito dei vari bonus e superbonus. Ricordate, no? Quelli che “non sono debito, chiedeteci scusa!“, secondo alcuni prestigiosi esponenti pentastellati e qualche direttore di house organ che quotidianamente si fa una decina di vasche nello scibile umano. Ecco, quello. Il deficit da superbonus e bonus facciate arriva inesorabilmente al bersaglio-capolinea del debito pubblico. Ma tranquilli: dicono alcuni esperti che il moltiplicatore è evangelico. Oppure da uso di sostanze psicotrope.

Giunti a questo punto, vi starete chiedendo: e la riforma fiscale? E quella pensionistica? Bambole, non c’è un euro. Ma non è che servisse arrivare a questo DEF per prenderne coscienza, no? A meno di essere stupidi o esponenti della maggioranza. Certo, potrebbe darsi che qualche “modulo” della riforma epocale venga messo in campo il prossimo anno, magari per indurre i lavoratori autonomi a dare il meglio di sé e fare emergere il loro nero la loro imprenditorialità, che il mondo ci invidia.

Ma, ahimè, queste sarebbero una tantum, con le quali non si fanno riforme permanenti. Però, allegri: l’anno prossimo il deficit-Pil programmatico è al 3,7% e quello tendenziale al 3,5%. Quindi avremo (avremmo) ben 4 miliardi di tesoretto, che pare verranno appostati al leggendario “fondo per la riduzione della pressione fiscale”. Per quella intracranica, ci attrezzeremo. Ma non disperate: ci dicono dalla regia che la Nadef autunnale ci porterà le risorse per tagliare le tasse (risate da sitcom in sottofondo).

In tutto ciò, Meloni prosegue con “prudenza e determinazione” per risollevare ‘aaa nazzione. Nel mezzo, qualche arma di distrazione di massa, come pene esemplari per alcuni idioti imbrattatori, o convegni in cui si certificherà che Dante era di destra. Ah, dimenticavo: e la lotta strenua a difesa dei nostri bancarellai e balneari. Oltre a biocarburanti immaginari per le nostre patriottiche auto e deroghe per i nostri prestigiosi ruderi, eredità di un impero. Senza scordare le infinite interlocuzioni con la Commissione Ue per la fantasmagorica ma soprattutto fantomatica rimodulazione del PNRR. Interlocuzioni di cui a Bruxelles pare non ci sia traccia operativa. Nel frattempo, l’impatto del PNRR sulla crescita appare in costante ridimensionamento e presto sarà pari all’errore statistico. Meglio essere prudenti.

Sul PNRR ci restano le considerazioni degli editorialisti di sistema, quelli che corrono in soccorso dell’esecutivo pro tempore. E quindi attendetevi (anzi, già potete leggere) che il PNRR è calato dall’alto, dai burocrati di Bruxelles, che non rispetta il nostro eccezionalismo e le nostre peculiarità imperiali e la nostra joie de vivre, che tutti i paesi sono in ritardo, che noi ne usciremo meglio di altri, e così spero di voi.

ALLEGRI, IL PEGGIO DEVE ANCORA ARRIVARE

Ieri il Fondo Monetario Internazionale è uscito con previsioni fosche, relative al crollo ai minimi storici della crescita globale. Piovono piaghe bibliche: guerre, protezionismo, crisi bancarie, crisi dei paesi emergenti. Più vicino a noi nel tempo, il FMI vede la crescita italiana per il 2024 allo 0,8%, il governo Meloni a 1,5%. C’è da premettere che non è che quello che vedono e prevedono a Washington sia esatto. Anzi, spesso hanno prodotto margini di errore più ampi rispetto alle nostre istituzioni economiche. Ma sarà comunque interessante valutare a posteriori chi si sarà avvicinato di più.

Nel frattempo, l’opposizione gioca di rimessa, come ogni opposizione che si rispetti (si fa per dire). La vera tragedia italiana è data dal fatto che a giocare di rimessa con la realtà di solito sono i governi, che insistono a buttare la palla in tribuna in attesa del fischio finale dell’arbitro. Che invece continua ad aumentare il recupero, maledetto.

Io ho un suggerimento per il Partito democratico: ora che hanno una segreteria vasta e preparata e una segretaria selettivamente loquace che tuttavia al momento non va oltre i Baci Perugina del movimentismo arcobaleno, agiscano come governo ombra e producano elementi di policy da poter valutare. Come dite? Sono troppo naif? Avete ragione anche voi. Per il momento, alcuni liberi pensatori sono troppo impegnati ad abbattere il governo di Roma. Che sarebbe loro ma non abbastanza, evidentemente.

Come ha detto il ministro Giancarlo Giorgetti, la cui aria vieppiù rassegnata ci muove a umana simpatia, questo DEF puntella una “ambizione responsabile”. Bellissima definizione, che qualche cinico giudicherà il nuovo “vorrei ma non posso”. Definizione non so quanto condivisa dal suo partito di provenienza. Il cui leader pare impegnato a logorare la premier, facendo attenzione a non segare il ramo su cui è seduto. Quindi direi che per ora, malgrado l’approssimarsi della prova costume, non sono previste fughe al Papeete. Ma un verosimile aumento del già nauseante tasso di demagogia, quello sì.

Aggiornamento del 13 aprile – Pubblicato il documento.

 


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