Il Cumenda Berlusconi, la Waterloo libica e la e-mail di Obama

par Daniel di Schuler
mercoledì 23 marzo 2011

La nostra politica estera è il risultato del trasferimento sulla scena internazionale, da parte dell’imprenditore Silvio Berlusconi, dei modi di gestione di una normale media azienda brianzola.

Non tracciano, per solito, grandi disegni strategici, gli imprenditori che si trovano alla testa di quelle realtà produttive e di cui sovente sono pure i fondatori; conducono le proprie imprese navigando a vista, come mi diceva uno di loro che mi onora della sua amicizia, e lo fanno, talvolta con straordinario successo, come nel caso di questo mio amico, grazie al proprio fiuto, combinazione di doti innate e di una pluridecennale esperienza.

Capitani coraggiosi, quei nostri industriali conducono le loro barchette tra i marosi dei mercati mondiali puntando proprio sull’agilità; cambiano produzioni dall’oggi al domani, fanno investimenti talvolta arditi, affidandosi più al proprio naso che agli studi di mercato, ma sono veloci nell’ammettere i propri errori, tagliare le perdite e ripartire in una nuova direzione, se si accorgono di aver sbagliato le proprie valutazioni.

Tutto molto bello, per certi versi romantico e, come dimostra la loro capacità d’invadere il pianeta con i propri prodotti (è grazie a loro che l’Italia è il quinto paese esportatore al mondo; il secondo in Europa) certamente efficace.

L’Italia però non è una media azienda; non è una barchetta: è un grosso bastimento e non si può condurre, pena il disastro, senza tracciare una rotta sulle più aggiornate carte nautiche disponibili. Le decisioni prese oggi da chi la governa possono influire sul futuro di generazioni e i lustri o i decenni, talvolta i secoli, dovrebbero essere l’orizzonte temporale della sua classe politica.

Da buon imprenditore, e da pessimo politico, Silvio Berlusconi bada invece solo ai risultati immediati (o immediatamente futuribili) e, quel che è peggio, misura questi risultati utilizzando il metro del consenso; del consenso ottenuto tra gli elettori, (influenzandone l’opinione con i propri media, ma pure seguendone gli umori rilevati in continui sondaggi) e dell’approvazione ottenuta, di volta in volta, dai propri interlocutori in politica estera.

L’Italia berlusconiana è stata, in questi anni, filo-tutto; ha cercato di essere filo-russa e filo-americana, filo-araba e filo-israeliana: filo qualunque fosse il paese in cui Silvio Berlusconi stesse compiendo una visita di stato e pro qualunque fosse il paese del capo di stato che arrivava a Roma in visita ufficiale.

Il risultato netto è che l’Italia, a prescindere dagli infortuni personali del Presidente del Consiglio, non è mai stata così poco considerata nel mondo; che l’inflazionata amicizia del nostro paese non ha mai valso tanto poco.

Che dire di Gheddafi?

Non si doveva umiliare l’Italia, in nome della real politik, acconsentendo alla sceneggiate che hanno accompagnato l’ultima visita ufficiale del tiranno. Ancora meno si doveva firmare, invocando la stessa real-politik, quel trattato di cooperazione italo-libica che ha condotto a dei veri e propri crimini contro l’umanità di cui, ne sono certo, ci faranno vergognare i nostri figli e nipoti.

Ce lo avrebbero dovuto impedire le più elementari considerazioni di dignità nazionale; una dignità che non si dovrebbe mai barattare, e tanto meno per dei vantaggi talmente risibili e transitori come quelli offertici dall’amicizia con Gheddafi.

Ora credo si debba fare qualunque cosa per sloggiare Gheddafi (anche se vorrei tanto capire qualcosa di più di quel che sarà l’eventuale dopo) e non me la sento di criticare il governo per aver concesso basi ed aerei per fare della Libia una “no fly zone”(se pure questa avrà un’utilità pratica, visto gli sviluppi sul campo) ma devo anche costare che questa decisione è, per la nostra politica estera, una Waterloo.

Che devono pensare di noi, gli altri nostri amici, vedendoci così pronti nell’attaccare chi, nella nostra capitale, fino a ieri riceveva i nostri devoti baciamano? Quanto valgono le dichiarazioni d’eterna amicizia del nostro Presidente del Consiglio? Quanto valiamo, noi, sulla scena politica mondiale?

La risposta all’ultima domanda l’ha data Obama, venerdì.

Prima di prendere la decisione finale sulla crisi libica si è sentito con i leader più importanti della “regione”: Cameron e Sarkozy.

Berlusconi? A lui avrà mandato una e-mail. Forse.


Leggi l'articolo completo e i commenti