Il Counseling: una tecnica d’aiuto nelle relazioni interpersonali e sociali
par ONEplusONE
martedì 5 maggio 2009
Sfogliando diversi articoli sulle possibilità d’intervento nelle fasi post emergenza proprio come per il terremoto dell’Aquila, nel caso specifico mi è saltato all’occhio la voce: formazione di una squadra di psicologi e counselor per assistere le persone traumatizzate dal sisma.
Se la psicologia è conosciuta come disciplina terapeutica, il counseling è un approccio più recente che richiede nella fattispecie un approfondimento ulteriore vista la possibilità di operare su diversi campi, per individuare i bisogni del cliente e rafforzare i suoi punti di forza e capacità per la soluzione dei problemi.
Il termine counseling deriva dall’Inglese to counsel, che risale dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in "consolare", "confortare", "venire in aiuto".Il counseling ha una lunghissima tradizione e affonda le sue radici nella psicologia, nella psicoanalisi, e più recentemente nel movimento umanistico.
Il rapporto che si instaura tra il “counselor” (l’operatore) e il cliente si basa sia sulla fiducia e sulla richiesta d’aiuto che sulla partecipazione attiva nella soluzione di conflitti personali o relazionali, o traumi legati a situazioni contingenti che richiedono l’attivazione di forze dinamiche per la loro risoluzione, singola o collettiva.
Le abilità di un counselor richiedono l’ascolto attivo, il formulare domande che aiutino realmente il cliente e non lo facciano sentire giudicato o sotto interrogatorio, la riformulazione dei suoi pensieri per aiutarlo a chiarificare e focalizzarsi sulle aree e questioni chiave che potrebbero essere difficili da gestire, la scelta di strategie appropriate rispetto alla situazione d’intervento, e l’empatia, cioè la capacità di “sentire” ed entrare in relazione umana col disagio manifestato.
Probabilmente le persone che possono più beneficiare di una formazione di counseling sono gli assistenti sociali, gli infermieri e gli insegnanti che lavorano a stretto contatto con altre persone come parte integrante della loro professione, entrando nella sfera delle emozioni e del vissuto dei singoli.
Ciò che mi ha colpito avvicinandomi a questo approccio terapeutico, è la possibilità reale di offrire una soluzione al problema presente del cliente, che prima di essere tale è una persona.
Se pensiamo alla popolazione abruzzese (per calarsi nella realtà quotidiana di un problema che abbiamo visto da vicino), la possibilità nelle fasi successive all’emergenza, di aiutare da vicino le persone che hanno vissuto il sisma, attraverso un approccio di accoglienza, empatia, dialogo, che dia fiducia alla ricostruzione in primis interna di un tessuto emozionale profondamente colpito da un evento inaspettato e violento, può portare gradualmente, alla riacquisizione di un’energia positiva necessaria alla ricerca della cooperazione, alla solidarietà collettiva;
Affinché le emozioni e il trauma provato possano essere canalizzati verso la loro espressione, gestione, e infine creazione di un tessuto sociale ancora più coeso e responsabile gli uni nei confronti degli altri e più forte rispetto al domani.
Questa è solo un’ipotesi vista la mancanza di competenze personali in merito, ma volevo riflettere insieme a voi sulla possibilità della relazione d’aiuto nella aree di crisi partendo dal livello umano, oltre che quello più immediato e necessariamente indispensabile dell’attivazione economica, politica e sociale.
E’ importante sapere di poter aiutare le persone nel profondo, partendo dalla condivisione di una sofferenza che spesso da soli è difficile da sopportare o superare.
Questa è quella attitudine meravigliosa che gli esperti chiamano empatia, che per quanto semplice richiede preparazione e professionalità.
Proprio nella doppia lettura del termine crisi, come regresso o come opportunità di progresso, la risoluzione dei conflitti può partire dall’interno o dall’esterno, ma la costruzione di un ponte tra le due sfere è la possibilità di porsi al mondo come un individuo integrato, forte di fronte alle avversità e capace di dare una spinta propositiva a qualsiasi evento negativo.
Vorrei concludere con una frase di Galtung, esperto della trasformazione dei conflitti, e fondatore della Peace Research : “Dukkha is a suffering, destructive, negative and damaging A-state of violence-disease, while Sukkha is bliss, perfect happiness, nirvana and a state of peace-health”.
Il conflitto interno o esterno crea energia, che può essere creativamente trasformata in energia positiva a tal punto da divenire costruttivo nel sistema vitale di una società e potrà dare infinite opportunità di crescita collettiva alla stessa...
Quindi, se qualcuno ci insegnasse a trasformarlo tendendoci una mano perché no?
Il passo che ognuno di noi compie verso la consapevolezza è senza dubbio un contributo verso il progresso di tutta l’umanità.