Il Bersanfallimonti

par Piero Tucceri
sabato 26 gennaio 2013

Ormai non è più una novità! Il dimissionario Presidente del Consiglio ha finalmente manifestato la sua indole politicante. Non si capisce ancora bene se lo abbia fatto per una sorta di difetto congenito o in conseguenza delle sue recenti frequentazioni.

Rimane tuttavia il fatto che in questo modo egli conferisce ulteriore credibilità al vecchio adagio secondo il quale, andando con i frati, si impari a zappare l'orto. Questa massima appare ancor più valida alla luce delle sue protezioni vaticane. Soprattutto dal momento che il clero non trascuri la riaffermazione della sua innata devozione all'edonismo di “Mammona”, piuttosto che alla sacralità dei precetti cristiani.

Nel suo sempre più incontenibile delirio di onnipotenza, il Presidente Monti non ha neppure minimamente esitato nel paragonarsi niente meno che a De Gasperi, ignorando che, mentre quest'ultimo si sobbarcò il gravoso onere di ricostruire l'Italia dopo le tragiche conseguenze prodotte da un conflitto mondiale, lui, con appena un anno di pessimo governo e non essendo stato neppure regolarmente eletto, ha depredato gli italiani nell'evidente intento di impinguare i già cospicui introiti dei suoi complici del mondo della finanza.

Siccome siamo all'inizio di un nuovo anno, forse non è peregrino redigere un bilancio, sia pure sommario, della terrificante esperienza prodotta dalla più disarmante inettitudine amministrativa, oltre che dalle perverse intenzioni di una autarchica combriccola governativa ammantata con un grossolano tecnicismo.

Qualsiasi azienda che avesse chiuso la sua attività con un bilancio così disastrato, avrebbe quanto meno cacciato in malo modo i propri amministratori. Ma gli italiani, no. Loro costituiscono, come al solito, l'eccezione, premiando, al contrario, i responsabili di tanto sconquasso sociale!

Di fronte a questa paradossale situazione, viene da domandarsi che razza di economista sia il nominato Presidente del Consiglio. Simili insensate scelte saprebbe sicuramente farle, e forse in maniera meno severa, persino il più classico sprovveduto del villaggio! Lui, perché lo fa? A chi sta ciecamente ubbidendo?

Il bocconiano economista, si abbandona a un autentico orgasmo quando ripete, con i suoi coreuti, la filastrocca di averci salvati dall'indotto “baratro” nel quale ci stavano facendo precipitare i criminali della finanza. A parte il fatto che nessuno ha sinora concretizzato quel “rischio”, il solo dato che emerge oggettivamente da questa orribile situazione, è che, grazie al suo malgoverno, siamo diventati sempre più la cenerentola non soltanto dell'Europa, ma del mondo. Per questo costui si culla sugli elogi che gli tesse il potere finanziario: perché lui è solito obbedir tacendo. Ed è per questo che quegli stessi poteri lo vorrebbero alla guida del futuro governo italiano. Per far sì che le banche realizzino sempre più cospicui introiti sulla pelle della gente che rasenta sempre più il limite della miseria. Il dato di fatto che dovrebbe preoccupare maggiormente, è che oggi, grazie alla sua inettitudine amministrativa, stiamo tutti assai peggio di un anno fa: di quando, con un indolore colpo di stato, questo illustre sconosciuto venne nominato alla guida di una compagine di saccheggiatori dell'economia italiana.

Tuttavia, quel che maggiormente preoccupa di tanto inquietante rigurgito autoritario, è l'impudente sostegno goduto dal malgoverno Monti da parte del famigerato trio ABC (Alfano, Bersani, Casini), e, ancor più in particolare, da parte del servile puntellamento offertogli dal camaleontico Bersani, il quale si è ormai irreversibilmente consacrato a una condotta politicante a dir poco perniciosa per la sopravvivenza delle categorie produttive rispetto a quella manifestata finora dal suo bocconiano pupillo.

In una intervista concessa al “Wall Street Journal” (“Il Messaggero.it” del 10-12-12), il segretario del PD ha anch'egli palesato le sue reali intenzioni nel caso di affermazione nella prossima tornata elettorale. Finalmente, anche lui ha fatto chiarezza. Confermando come, nella sua continua metamorfosi, abbia deciso di adeguarsi alla contingenza, attraccando questa volta al lido liberista; anzi, attraccando a un liberismo ancor più estremista di quello del tetro governo Monti, nei cui confronti non esita a ribadirne la deferente sudditanza.

Nel caso fosse chiamato alla guida del futuro governo italiano, Bersani precisa che adotterebbe una condotta fiscale molto più rigorosa di quella attuata sinora, verosimilmente in ossequio alle direttive impostegli dal potere finanziario. E lo sostiene anche con inquietante disinvoltura rispetto all'effimero francese Hollande, il quale, prima di esternare le sue reali intenzioni, ha avuto almeno la decenza di aspettare di essere eletto. Ma lui, no. Lui è talmente risucchiato dalla devastante intenzione di infierire sui più deboli, da essersi concesso il lusso di annunciarlo in anticipo, prostrandosi così umilmente ai piedi dei suoi attuali padroni ancor prima delle elezioni! Costui è convinto che il popolo non sia altro che una massa amorfa incapace di assecondare l'innata vocazione criminale della grande finanza mondiale. Per questo, esso deve abbandonarsi alla “perizia” tecnocratica appositamente concepita da quella sciagurata compagine. In questo senso, egli rivendica la continuità con le fallimentari politiche economiche perseguite dai suoi predecessori come Prodi e Padoa-Schioppa.

Nella attuale dottrina di Bersani, la burocrazia deve avere il sopravvento sulla politica. Il darwinismo sociale, del quale è il più convinto assertore, contempla l'attuazione di strategie economiche volte a colpire sempre più pesantemente le classi sociali più deboli. Come e più di quanto abbia fatto finora in combutta nel famigerato trio ABC (Alfano, Bersani, Casini).

Questo subdolo terzetto, tuttora saldamente coeso nonostante le contingenti strategie elettorali, mentre da una parte pretende esosi sacrifici dagli italiani, dall'altra persevera pertinacemente nel non voler ridurre i costi della politica. Un paio di mesi fa, si è riproposto dichiarando “inammissibile” l'emendamento presentato al cosiddetto “decreto per lo sviluppo”, mirante a ridurre gli stipendi dei parlamentari. Promotrice di questa scellerata iniziativa, è stata, guarda caso!, la senatrice del PD Leana Pignedoli, la quale ha così precluso la possibilità di stornare fondi necessari per incentivare l'occupazione giovanile.

È importante rilevare come non sia la prima volta che il Parlamento aggiri simili iniziative. Durante lo smorto governo Berlusconi, la Commissione Bilancio del Senato respinse, nel corso di una seduta notturna, un'altra proposta mirante alla riduzione dei costi della politica, annunciata dall'allora ministro Tremonti. Naturalmente, la situazione non è cambiata con il governo Monti, il quale, dopo aver fatto sfumare la riforma costituzionale tendente a ridurre il numero dei parlamentari, ha paradossalmente rimandato tale decisione all'esecutivo e quindi ai...diretti interessati!

Così come si è rivelata una beffa il preannunciato taglio degli stipendi dei parlamentari. La decurtazione di 1.300 euro lordi mensili, ridotta a 700 euro al netto, della quale si sono vantati sia la destra che la sinistra, non è stata altro che la rinuncia a un automatico aumento dovuto al cambio del loro regime pensionistico. Per cui questi signori, in effetti, non hanno rinunciato ad alcun aumento. Per il resto, la situazione è rimasta come prima.

Di tutte queste e di altre simili circostanze, terranno conto gli elettori nel momento in cui saranno chiamati a esprimere, e non a disfarsene quasi fosse una zavorra, il loro voto?


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