Il 90% di loro è disoccupato ma non ne parla nessuno

par piergiorgio dell’oro
venerdì 3 settembre 2010

Le "fasce morte".

Stiamo tutti seguendo con apprensione l’evoluzione delle strategie del gruppo Fiat che coinvolgono il presente ed il futuro di poco meno di 100.000 lavoratori in Italia (e rispettive famiglie). Il governo è allertato, le organizzazioni che rappresentano gli interessi in gioco sono impegnate, gli specialisti in materia abbondano di valutazioni e previsioni, i media contribuiscono a tenere desta l’attenzione sul problema. C’è il rischio che una parte di questi lavoratori veda compromessa la propria stabilità occupazionale. Con tutto ciò che ne consegue. In ogni caso stiamo vedendo una società che, a fronte di problemi di una parte di essa, si attiva, si preoccupa e cerca soluzioni convenienti.
 
Moltiplichiamo il problema per 50.
 
In Italia ci sono circa 5 milioni di persone socialmente svantaggiate (disabili fisici, psichici e sensoriali, persone in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, etilisti, detenuti, borderline) in età da lavoro che, per il 90% sono stabilmente disoccupate. Sono persone che, indipendentemente da situazioni di crisi o ripresa economica, rimangono escluse dal lavoro. Non parliamo delle "fasce deboli" che hanno perso o sono a rischio di perdere il lavoro; quanto meno per costoro esiste un sistema di protezione, precario e limitato quanto si vuole, che dovrebbe alleviare la crisi. Parliamo di "fasce morte" cioè di persone che non sono mai entrate nel mercato del lavoro. Paradossalmente sono le meno toccate dalla crisi attuale; escluse erano, escluse restano.
 
L’imponente sistema pubblico di sostegno al lavoro per le persone socialmente svantaggiate fornisce risultati fallimentari in termini occupazionali.
 
Eppure nessuno ne parla: non ne parlano i politici, non ne parlano i media, né ci sono organizzazioni che ne difendano gli interessi.
 
Conosciamo esattamente quante automobili si vendono per modello, per colore, per fasce di prezzo, per zona, per periodo. Conosciamo esattamente, addirittura con cadenza giornaliera, la propensione al voto deli italiani. Conosciamo poco e male la realtà dello svantaggio sociale. I dati ufficiali esistenti sono parziali, imprecisi e disomogenei. Manca una conoscenza sistematica del fenomeno. Perché non interessa? Queste persone sono pessimi consumatori, per lo più non votano, non rappresentano un’area di interesse da nessun punto di vista.
 
Come possiamo definire la dignità di ciascuna di queste persone rispetto alla dignità di un operaio Fiat? Possiamo ancora pensare che si collochino in ordini di grandezza paragonabili?

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