Il 25 aprile e la "bandiera di Israele"

par Fabio Della Pergola
sabato 27 aprile 2013

La partecipazione delle comunità ebraiche alla giornata del 25 aprile, festa della Liberazione, da anni ormai provoca dei problemi.

Problemi di ordine pubblico, problemi di imbarazzo per l’Associazione Nazionale Partigiani che organizza le manifestazioni; problemi di frustrazione e di rabbia per alcuni dei partecipanti delle due sponde opposte.

E già qui c’è una contraddizione in termini: in occasione della Liberazione le “due sponde opposte” dovrebbero essere quella dei partigiani e dei liberatori da una parte e quella dei nazi-fascisti dall’altra, casomai.

Invece la presenza delle comunità ebraiche, che commemorano la partecipazione della Brigata Ebraica alla liberazione del nostro paese, viene interpretata - con uno scarto ideologico non immediato - come una presenza di “anti” resistenti mentre i filopalestinesi, che partecipano - non si sa a che titolo - sotto le bandiere della Palestina, sono considerate legittimate a manifestare nelle file dei ‘resistenti’.

La questione provoca risse, insulti, scontro fisico e verbale al limite della rissa, quasi ogni anno. E poi strascichi polemici e imbarazzi. Con la solita pretesa di togliere di mezzo la "bandiera di Israele" che è invece, come si saprebbe se si uscisse un minimo dalla crassa ignoranza storica in cui si vive, il vessillo della Brigata Ebraica (come si vede nel documentario The Spielberg Jewish Film Archive - Road to Liberty).

Lo ‘scarto ideologico’ è chiaro: né gli israeliani né i palestinesi hanno avuto alcun ruolo nella storia della Liberazione italiana. Gli uni a quei tempi non esistevano come nazionalità; gli altri acquisiscono il diritto al ruolo di partecipanti solo a partire da una interpretazione ideologica secondo la quale tutti i resistenti hanno diritto di sentirsi fratelli di ‘quei’ partigiani che settant’anni fa hanno combattuto e spesso dato la vita in nome della libertà dal nazifascismo. Mentre chi si trova sul fronte opposto è automaticamente arruolato nelle file degli oppressori e quindi del fascismo tout-court in una "sintesi" storica che non tiene conto di niente se non delle proprie logiche di appartenenza.

Logiche che naturalmente sono falsate perché non risulta che alle manifestazioni del 25 aprile siano mai stati avvistati vessilli curdi o ceceni o tibetani o di una delle numerose popolazioni oppresse a vario titolo e da varie potenze “occupanti”. La questione riguarda solo i palestinesi da una parte e gli ebrei (non gli israeliani, si badi bene) dall’altra.

Naturalmente la verità, se ci si attiene alla storia, è esattamente l’opposto di quello che appare: gli ebrei parteciparono alla lotta contro il nazifascismo (oltre ad averne subìta più tragicamente di tutti la violenza) mentre i palestinesi furono al fianco dei nazifascisti, contro gli inglesi sotto il cui controllo si trovavano.

Evidentemente - e dopo sei milioni di morti - gli ebrei dovrebbero essere considerati a priori legittimati a sfilare nel giorno della liberazione se non altro per la loro partecipazione alla Resistenza (circa il 2% della popolazione ebraica degli anni ’40 ha partecipato alla lotta di liberazione contro una partecipazione percentualmente più bassa della popolazione italiana) e per via della Brigata Ebraica in cui si arruolarono molti giovani ebrei provenienti dalla Palestina britannica e da altri paesi occidentali e che combatterono (in Italia) inquadrati nelle fila dell’esercito inglese.

Agli ebrei quindi andrebbe riconosciuto il diritto non solo di partecipare, ma anche di partecipare a testa alta e bandiere al vento, a prescindere da qualsiasi interpretazione delle politiche attuali di uno stato che sarà pur loro vicino per motivi storici, ma che ai tempi della liberazione nemmeno esisteva.

Ben diverso il discorso della presenza palestinese alle manifestazioni del 25 aprile. Il nostro paese non deve ai palestinesi niente in termini di lotta e liberazione dal nazi-fascismo. Al contrario sono note e storicamente provate le ampie convergenze tra l’élite politica palestinese degli anni ’30 e ’40 con il regime mussoliniano prima e con quello nazista poi. Come già detto la loro vicenda va necessariamente inquadrata nella logica della lotta anticolonialista, però anche l’India di Gandhi era una colonia inglese, ma non risulta che il movimento indipendentista indiano, al contrario di quello palestinese, si sia mai alleato con il nazifascismo.

Un minimo di rispetto (almeno per i morti, se non per i sopravvissuti) vorrebbe che - casomai - fossero perciò le bandiere palestinesi a non comparire in questa ricorrenza; magari tutti gli altri giorni, ma non il 25 aprile (e il 27 gennaio) essendo storicamente il vessillo di vecchi alleati del regime nazifascista.

E’ chiaro quindi che la Festa della Liberazione si è caricato di significati che tendono ad assolutizzare la Resistenza trasferendone il significato dal contesto storico suo proprio a quello universale, in cui la presenza ebraica viene sentita come avversa e ostile ancor più che come corpo estraneo. Provocando così un ribaltamento della storia.

Le pesanti ripercussioni del conflitto israelo-palestinese riverberano quindi sulla nostra ricorrenza nazionale più importante trascinandola in un ambito in cui è interpretata, non più vissuta. Ed è interpretata in modo distorto, avendo assunto il significato di liberazione dei popoli oppressi, ma solo di quelli di cui appare legittimo, non si sa bene a chi, chiedere a gran voce la liberazione: cioè i palestinesi e basta.

Gli altri possono andare a manifestare altrove, ai nuovi partigiani non interessano.

E chissà che irritazione se si scoprisse che anche la canzone cult della resistenza - Bella Ciao - sembra derivare da una versione della canzone yiddish "Dus Zekele Koilen" (cioè da una ballata ebraica dei primi del novecento) ! Chi la vuole ascoltare la trova qui.


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