I quarant’anni del Sessantotto

par Ghigo Elli
mercoledì 10 settembre 2008

Ciò che è vivo e ciò che è morto (secondo me) del Sessantotto

Ancora una ricorrenza quest’anno. Dopo i settant’anni di Celentano, da festeggiare ci sono anche i quarant’anni del “Sessantotto”. E se sul “molleggiato” c’è un coro unanime di apprezzamento, intorno al ben noto evento citato, piovono frequenti critiche. Sembrava di essere partiti in tromba con un’analisi retrospettiva di quell’epoca e di quella che l’aveva preceduta, con varie pubblicazioni in materia ( una su tutte quella del suo demiurgo italiano, ovvero Mario Capanna, oggi più a suo agio con gli attrezzi agricoli che con la politica dei partiti), e invece tutto si è poi afflosciato. Si era persino organizzato in suo onore il concerto-evento del Primo Maggio. Non c’è ormai più traccia di chi adesso ne parli.

Che cosa fu il “Sessantotto” è questione dibattuta e forse destinata a dividere l’opinione pubblica, ammesso che su questo argomento siano in molti quelli che vi si vogliono misurare. Si può però affermare con certezza quello che il “Sessantotto” non fu, ovvero un occasione per cambiare fino in fondo le cose, compreso il volto di una società che allora sembrava asfittica e chiusa. Non fu neanche una “caciarata”, né una festa di piazza, anche perché a parteciparvi furono più i “figli di papà” che i proletari, come Pasolini ebbe a dire con una dichiarazione che è rimasta famosa.

Resta da dire ciò che è morto e ciò che è ancora vivo del “Sessantotto”. E’ morto il diciotto politico ( poi trasformatosi negli anni seguenti nel sei politico), è morto un certo modo di fare scuola senza il conforto della meritocrazia. E chi lo sa, quei professori che ci trovavamo noi negli anni ’80 e che non sapevano niente, vagolando nella più pura incompetenza, forse oggi non ci sono più…Ma ditemelo voi, se andate sempre a scuola, o siete usciti da poco.

E’ vivo, invece, un nuovo modo di considerare le donne, non dall’alto verso il basso. Senza il “Sessantotto” sarebbe stato impossibile immaginare un futuro roseo per l’emancipazione femminile e certe leggi ( come quella sulla parità uomo-donna, sulle lavoratrici madri, sul divorzio, sulla riforma del diritto di famiglia e quindi sull’abolizione della patria potestà) non ci sarebbero state o sarebbero arrivate con molto ritardo. Detto questo non si può rilevare come il “Sessantotto” abbia minato alle radici il principio di autorità, nei confronti dei professori, dei genitori e così via. Gli episodi di bullismo a cui si assiste oggi, forse sono la logica e cronologica conseguenza di quell’età di contestazione ad ogni forma di potere. Nessuno però mi leverà dalla mente che l’idea più attuale del “Sessantotto” possa essere riassunta nella famosa locuzione “Immaginazione al potere”. Nell’epoca della creatività totale del web 2.0, supportata dai social networks, si può forse affermare che c’è una linea rossa che collega questi tempi a quelli del “Sessantotto”.


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