I possibili conflitti d’interesse di Antonio Ingroia, avvocato

par MARIA BRUCALE
giovedì 3 ottobre 2013

Ex pupillo di Borsellino; ex procuratore aggiunto di Palermo; ex super investigatore in Guatemala contro il narcotraffico; ex leader politico di “Azione Civile”; oggi avvocato, di parte civile, si intende, sta con i buoni, con coloro che condividono la ricerca dell’accertamento della verità con la pubblica accusa.

Per questo non ci sarebbe, dice Ingroia, alcuna incompatibilità. E allora, appesa la toga di magistrato veste quella di avvocato senza soluzione di continuità rispetto a pochissimo tempo addietro, ancora scottato dai cocenti fallimenti quando, senza svestire i panni del magistrato aveva attaccato al petto un vessillo politico con buona pace della indipendenza dei giudici, concetto questo derivazione immediata e finale di quello di imparzialità.

Dall’imparzialità discende l’autonomia e la trasparenza dell’azione inquirente e giudicante. È l’indifferenza ai colori politici che ingenera nel popolo la sensazione, o quantomeno, la beata illusione che la legge parli e viva attraverso i magistrati senza condizionamento alcuno.

E così sia. Niente imparzialità e indipendenza dunque. Ingroia rivendica il diritto a essere colorato di rosso e magistrato a un tempo. No, non andrà con le “caprette in Val D’Aosta”, dove hanno voluto relegarlo i suoi colleghi che l’hanno tradito e isolato. Non prova alcun disagio neppure ad affermare che potrebbe optare per la funzione giudicante.

Oggi è avvocato, non del tutto a dire il vero giacché a quanto pare non avrebbe ancora prestato il giuramento, avanti al consiglio dell’ordine di Roma al quale ha presentato domanda di iscrizione che, solo, perfeziona a norma di legge l’ingresso nella professione: "Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno a osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia e a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento".

Entra in aula bunker, al carcere Ucciardone di Palermo, nel processo “Stato – Mafia”, lo ha istruito lui e si sente a casa. Dichiara: “Certamente, dopo 25 anni, oggi è il mio primo giorno da avvocato, e farlo qui, in questa aula simbolica, per il processo che ho istruito con passione e impegno mi emoziona. Al di là della funzione del ruolo, credo che cambi poco. La parte pubblica e la parte civile vanno verso lo stesso obiettivo dell’accertamento della verità e della responsabilità penale degli imputati”.

Pare che i Consigli dell'Ordine degli Avvocati, di Roma, dove ha chiesto l'iscrizione, e di Palermo, dove avrebbe commesso la violazione, abbiano avviato una procedura di verifica disciplinare.

Ma prontamente Ingroia si difende, in aula non ha detto una parola, se non che il 10 ottobre avrebbe vestito i panni di sostituto processuale per l'associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili (da Il Giornale.it), come se costituirsi in aula non bastasse ad avere esercitato attività difensiva in giudizio...

Non solo. Il codice di deontologia forense non gli consente di esercitare la professione di avvocato nella stessa sede in cui ha svolto funzioni di magistrato per almeno un anno dalla cessazione della precedente funzione. L'associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili, dunque, è costretta al momento a revocarlo.

Ha fatto bene Ingroia a smettere i panni del Pubblico Ministero. Non sembra affatto che avesse chiaro il senso e la natura del suo ruolo. L’art. 358 del codice di procedura penale recita: Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.

L’accertamento condotto dal P.M. dunque, nel nostro ordinamento, ha la fantasiosa connotazione di ricerca asettica della verità, anche degli elementi che portano ad escludere la responsabilità degli imputati. La parte civile è chi, proclamandosi persona offesa dal reato oggetto di giudizio, si costituisce in esso per conseguirne un risarcimento economico. I due ruoli, dunque, sono tutt’altro che sovrapponibili.

Nessuna incompatibilità secondo Ingroia, già serenamente proiettato, nelle sue nuove vesti, ad un possibile incarico nell’amministrazione regionale guidata da Rosario Crocetta.

Eppure, l’art. 37 del codice deontologico forense sembra prospettare un vistoso conflitto di interessi:

“L'avvocato ha l'obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

I - Sussiste conflitto di interessi anche nel caso in cui l'espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro assistito, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, ovvero quando lo svolgimento di un precedente mandato limiti l'indipendenza dell'avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico”.

Chi conosce quali attività dell’ufficio di un pubblico ministero rimangano segrete e non confluiscano agli atti del giudizio, disponibili per le parti? Quante informazioni pervengono ad un p.m. dalle sue molteplici e capillari fonti, che ne formano la cognizione interna pur non trasformandosi in atti di indagine?

Quale parità tra le parti processuali può essere sperata se l’avvocato che si contrappone al difensore dell’imputato, perseguendo un sacrosanto interesse ad essere risarcito per il reato che ha subito, possiede elementi cognitivi necessariamente sottratti al materiale processuale passibile di consultazione?

Pare, peraltro, che appena possibile assumerà la difesa dei familiari del Dott. Attilio Manca, l'urologo messinese morto in circostanze non chiare. La sua morte è stata archiviata come suicidio ma i familiari paventano l'ipotesi di un collegamento con le cure prestate dallo Specialista a Bernardo Provenzano nel corso della sua latitanza. Un mandato difensivo che, in realtà, porta con sé la suggestione di un avvocato, ancora p.m. che possiede elementi di cognizione per forza di cose sottratti ai suoi colleghi (quando avrà giurato!).

Incompatibilità. Eccome! E un conflitto di interessi che lascia sgomenti. Che direbbe Travaglio?


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