I palazzinari apostolici
par UAAR - A ragion veduta
martedì 7 giugno 2016
Si potrebbe dire, parlando strettamente del mondo cattolico, che ci sono vocazioni e vocazioni. Le vocazioni “in entrata”, quelle a cui si fa generalmente riferimento, sembrano in costante crisi da tempo e in proporzioni ben superiori a quelle pur lamentate nell’Annuario statistico della Chiesa, almeno a giudicare dal numero di chiese sconsacrate e da quello di sacerdoti e suore “d’importazione”. Al contrario, la vocazione degli ecclesiastici per affari che non hanno nulla a che vedere con la loro missione apostolica non accenna minimamente a scemare. Piuttosto sembra tendere all’allargamento degli ambiti di azione grazie all’ascesa di personaggi discutibili nei ruoli chiave della gerarchia.
Uno di questi personaggi è Domenico Calcagno, già vescovo di Savona salito alla ribalta delle cronache per aver coperto i preti pedofili che operavano all’interno della sua diocesi, mantenendo riservate le denunce e spostando gli accusati in parrocchie vicinedove peraltro persistevano nei loro crimini. Una condotta che certo non ha compromesso la carriera di Calcagno all’interno delle gerarchie cattoliche, tant’è che nella Chiesa a trazione ligure, quella per intenderci influenzata dai due arcivescovi genovesi Bertone e Bagnasco rispettivamente a capo della Segreteria di Stato vaticana (oggi in pensione) e della Cei, gli viene assegnata nientemeno che la presidenza della banca centrale della Santa Sede: l’Apsa.
Oltre al già citato insabbiamento degli scandali di pedofilia, a quanto si apprende Calcagno sembra essere stato impegnato in altre attività durante la sua permanenza a Savona. Attività inerenti l’altra sua vocazione, quella finanziaria, che lo ha portato all’incarico che attualmente ricopre e che all’epoca in cui era vescovo di Savona sarebbe consistita nell’utilizzazione dei fondi dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero (Idsc), che com’è noto riceve denaro proveniente da donazioni e Otto per mille per pagare gli stipendi ai preti, per fini che di assistenziale avevano molto poco. La procura del capoluogo della provincia ligure sta attualmente indagando su almeno quattro operazioni immobiliari condotte proprio attraverso l’Idsc, che risultava perfino detenere quote di maggioranza di imprese edili che realizzavano opere finanziate tramite i fondi dello stesso Idsc.
Un’industria cementifera targata Ccar, insomma, portata alla luce grazie all’esposto presentato da un sacerdote, tale Carlo Rebagliati, che viveva con grande preoccupazione il suo ruolo di economo della diocesi e che aveva già espresso il timore di essere ucciso. Adesso è morto sul serio, per cause non criminose. Si va dalla riconversione dei cantieri navali Caviglia per la realizzazione di villette alla trasformazione in residence di lusso delle ex Colonie Bergamasche di Celle Ligure, e dalla riconversione del parco dell’ex seminario per dar vita a un parcheggio alla trasformazione di un asilo, lascito di un benefattore, in un condominio. Operazioni condotte anche grazie alla partnership con imprese e personaggi che vanno dall’inopportuno al discutibile, tra cui un imprenditore interdetto in virtù di un provvedimento antimafia, ma anche grazie ai fidi e alle fideiussioni concesse con estrema facilità dalla banca Carige, aspetto quest’ultimo su cui la stessa Bankitalia ha aperto un dossier d’indagine.
Un altro sacerdote coinvolto nell’inchiesta è l’allora presidente dell’Idsc Pietro Tartarotti, anch’egli indagato per malversazione insieme a Calcagno, che oggi esprime in parte pentimento ma che rivendica comunque le buone intenzioni alla base di quelle operazioni. Tartarotti spiega così le cose: «Avevamo un patrimonio vetusto e improduttivo […] Così si decise di far fruttare meglio il patrimonio diventando noi stessi soggetti attivi delle operazioni di trasformazione». Il problema sono appunto i modi e i soggetti con cui tali operazioni sono state messe in atto, tutt’altro che limpidi e certamente poco apostolici. Tartarotti lascia intendere di essere almeno in parte pentito di quanto fatto all’epoca ma sottolinea comunque che tutto veniva fatto con il beneplacito di Calcagno, perché diversamente non sarebbe stato possibile, e soprattutto con il plauso della Chiesa che addirittura indicava le iniziative dell’Idsc di Savona come esempio da seguire per tutti gli altri istituti diocesani.
Le operazioni finanziarie come quelle condotte nel savonese, emblematiche della seconda (non certo per valore) vocazione di molti palazzinari ecclesiastici, assicurano poi ulteriori introiti grazie alla reticenza con cui le amministrazioni locali affrontano il problema delle relative imposte. Si parla principalmente di Imu/Tasi, ma anche di altre imposte gravanti sugli immobili di qualunque cittadino o ente italiano che non abbia a che fare in alcun modo con la Chiesa, o che non siano di proprietà diretta della Santa Sede. In base al reportage realizzato da Nello Trocchia per La Gabbia, solo a Roma più di 400 milioni di euro, secondo i calcoli effettuati dalla Commissione Spending Review di Roma Capitale presieduta dall’intervistato Daniele Frongia (M5s), vengono evasi ogni anno e 600 mila euro rappresentano l’ammontare della Tarsu mai pagata dalla Pontificia Università Gregoriana.
Eppure moltissimi immobili sono anche produttori di reddito, a partire dai tanti alberghi definiti “casa per ferie” dove per una doppia si pagano 136 euro. Per Riccardo Magi (Radicali) il 40% di queste strutture non ha mai pagato l’Imu e allo stato attuale è in atto un contenzioso col Comune per il recupero di quasi 20 milioni di euro. Purtroppo però queste iniziative dell’amministrazione capitolina sembrano essere in fase di stallo da quando a Roma è arrivato il prefetto Tronca, al contrario della vicenda Affittopoli su cui c’è stato invece un consistente impegno. Sarà un caso che il prefetto abbia sentito la necessità di inchinarsi al pontefice quand’era fresco di insediamento? A giudicare dalle sue altre clericalate si direbbe proprio di no.
Massimo Maiurana