I marò e Vittorio Arrigoni: due pesi e due misure

par domenico
sabato 17 marzo 2012

Il governo italiano – giustamente – sta facendo di tutto per riportare a casa Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò arrestati in seguito all’incidente che ha provocato la morte di due pescatori al largo delle coste indiane. I due militari facevano parte della scorta in servizio “anti-pirateria” sulla petroliera Lexie, battente bandiera italiana. Da un mese sono trattenuti in prigione, separati dagli altri detenuti, in attesa che si giunga ad una soluzione condivisa dal governo indiano e da quello italiano.

Marò italiani

Palazzo Chigi contesta la competenza della giurisdizione, che dovrebbe essere italiana – essendo l’incidente avvenuto in acque internazionali – e l’arresto stesso, che violerebbe i diritti derivanti dallo status di militari dei due detenuti. Il governo indiano confuta questa tesi: non si tratterebbe di acque internazionali, bensì di “zona contigua”, e i due marò sarebbero forze “private”, non militari. Una vicenda intricata, sulla quale pesa anche la strumentalizzazione politica delle autorità politiche indiane in funzione elettorale, che l’esecutivo guidato da Monti sta seguendo con molta attenzione e apprensione, sia recandosi con propri rappresentanti in India, sia tenendo accesi i riflettori in Parlamento, nelle sedute del governo e in Europa.

Vittorio Arrigoni non era un militare. Era un attivista, in Palestina, dell’International Solidarity Movement. Nel 2010 aveva preso parte alla Freedom Flotilla, spedizione di generi di prima necessità da fare giungere a Gaza forzando il blocco israeliano. Aveva anche denunciato le atrocità commesse dall’esercito di Tel Aviv sulla popolazione inerme, girando e diffondendo video sulle vittime (per lo più bambini) delle bombe al fosforo. Il 15 aprile sarà trascorso un anno da quando è stato ucciso, dopo essere stato rapito da un gruppo salafista. “Un crimine imbarazzante e ignobile”, secondo il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, perpetrato a danno di un italiano “solidale con Gaza”, la presa di distanza dei principali forum jihadisti. Sul Corriere della Sera, Francesco Battistini ha sollevato la questione dei ritardi nel processo per l’assassinio di Arrigoni. Un dibattimento quasi inesistente, udienze brevissime, continui rinvii e la sensazione che la corte sia orientata ad accogliere la tesi difensiva, che addossa la responsabilità ad un fondamentalista islamico ucciso dalla polizia palestinese, scagionando così i quattro imputati (tre attualmente arrestati, uno a piede libero). “Arrigoni, vittima dimenticata di un processo farsa” ha titolato il quotidiano di via Solferino. 

Il silenzio del governo italiano su questa vicenda è assordante. La giustificazione ipocrita: essendo Hamas considerata un’organizzazione terroristica, non può essere riconosciuta come interlocutrice dal governo italiano, che per questo motivo non ha mai mandato al processo nemmeno un osservatore. Ecco, disturba parecchio l’idea che esistano Italiani di serie A in divisa e Italiani di serie B con la pipa in bocca e la kefiah al collo.


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