I furbacchioni del ponte

par Bernardo Aiello
giovedì 23 aprile 2009

Dopo il terremoto in Abruzzo infuria la polemica sulla costruzione del ponte sullo stretto di Messina.

Si tratta di una zona sismica e perciò, è meglio lasciar perdere; abbiamo bisogno di soldi per la ricostruzione dell’Abruzzo e li possiamo prendere da lì (lasciando stare quelli del Mose di Venezia e quelli dell’Expo di Milano) e infine, è inutile collegare due pseudo-città, che in effetti sono due cloache.

 
Orbene, in primis il ponte non passerebbe per Reggio Calabria, ma collegherebbe Messina con Villa San Giovanni, ad una distanza di circa una ventina di chilometri dal capoluogo calabrese.
 
Passando poi allo status delle due città, Messina e Reggio Calabria, non si vede cosa le accomuni strettamente, oggi che sono collegate via mare e sono considerate dagli esperti di trasporti, ad una distanza equivalente via terra di circa duecentocinquanta chilometri.
 
Insomma, Messina è molto più vicina a Catania che a Reggio Calabria. A nessuno viene in mente di accomunare le due città siciliane, così diverse fra di loro.
 
Quanto alla zona sismica, le vigenti leggi non consentono l’edificazione di ponti in zona sismica senza un’esaustiva progettazione che ne tenga conto. Le nostre norme sismiche sono oltremodo severe. Chi si è messo in testa che per il ponte sullo stretto di Messina se ne possa fare a meno?
 
Passiamo adesso ad esaminare l’affermazione che i soldi per realizzare il ponte sullo stretto di Messina, siano destinati al Meridione. A questo proposito vorrei ricordare un calembour che girava all’epoca della Cassa per il Mezzogiorno.
 
In quegli anni non vi era impresa importante che non avesse qualche appalto con questo ente, e ciò valeva massimamente per le grandi imprese di costruzione del Nord, al punto che si diceva sorridendo sotto i baffi, che «la Cassa per il Mezzogiorno era stata inventata dai milanesi».

 
Detto per inciso, anche il nostro Premier è lombardo a tutti gli effetti di legge, e non passa proprio per essere una persona sprovveduta. Insomma, la cospicua somma di pubblico denaro necessario per la realizzazione del ponte passerebbe in prima battuta in mani nordiche, quelle del main contractor.
 
Continuerebbe il suo cammino sempre prevalentemente in mani nordiche, facendo lavorare i produttori di acciaio del bresciano.
 
Passiamo adesso ad esaminare un altro aspetto e precisamente: chi saranno gli utenti dell’opera dopo la sua realizzazione? Certamente gli abitanti delle città situate sullo stretto ne usufruiranno per andare più agevolmente da una sponda all’altra.

Credo però che, le stime fatte debbano trovare altrove le ingenti somme da ricavare dai pedaggi per rimunerare l’alta somma impiegata, e precisamente nei mezzi pesanti che formano quella che, nel gergo dei camionisti, è chiamata "la linea" e che serve principalmente a portare in Sicilia i prodotti dell’industria settentrionale e nel Settentrione i prodotti agricoli dell’economia siciliana, nettamente carente di industrie manifatturiere. E spesso i mezzi pesanti non hanno il carico completo nel risalire lungo "la linea".

In definitiva il ponte sullo stretto di Messina:
- è realizzato con denaro del contribuente italiano;
- darebbe lavoro prevalentemente ad aziende del Settentrione;
- sarebbe utilizzato prevalentemente per i trasporti di merci delle aziende del Settentrione.

In tutto questo, direbbe l’onorevole Di Pietro, il Meridione, che ci azzecca?
I furbacchioni che sostengono di fare questo ponte per la Sicilia, sappiano che li abbiamo già sgamati.

Leggi l'articolo completo e i commenti