I cinquanta “coglioni” di Fukushima

par Bernardo Aiello
martedì 15 marzo 2011

Non ne conosciamo il numero esatto: possono essere cinquanta oppure sono solo quarantanove. Quel che sappiamo è che da giorni lottano per evitare che le sbarre di combustibile nucleare della centrale di Fukushima si surriscaldino facendo saltare tutto; e nessuno di loro si è messo in malattia o ha accampato un’altra scusa per andarsene via.

Non è difficile immaginare cosa fanno da giorni, magari senza andare a dormire. Sicuramente seguono sui monitor della strumentazione della centrale l’andamento dell’attività dei reattori nucleari, aprono e chiudono valvole dei circuiti di raffreddamento di acqua di mare, tagliano lamiere e saldano tubazioni, si fermano a pensare e poi riprendono a correre come matti, e così via.

A proposito: l’uso dell’acqua di mare come fluido di raffreddamento, spacciato dai media come antidoto eccezionale per affrontare l’emergenza a Fukushima, è invece quanto di più comune si possa pensare per gli impianti. Spesso e volentieri questi ultimi sono costruiti sul mare perché è via mare che si movimentano materie prime e prodotti derivati; è così possibile costruire prese di acqua di mare in grado di fornire con facilità enormi quantità di fluido, utilizzato nei circuiti di raffreddamento. A Fukushima, però, ne servirebbe troppa di acqua di mare, più di quella che stanno riuscendo ad utilizzare.

Quel che è certo è che questi cinquanta signori stanno anteponendo il bene comune al proprio interesse personale e che per loro le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni difficilmente sarà senza conseguenze; esattamente come è accaduto ai pompieri ed alle squadre di emergenza intervenute a Cernobyl a suo tempo. Insomma, secondo un certo modo di pensare diffuso nel nostro Paese, sono dei “coglioni”.

Viene spontaneo il confronto con chi, invece, “coglione” non è e fa tutto per il proprio interesse personale e non per il bene comune; ed anche nel segreto dell’urna segue il “proprio particulare”, direbbe padre Dante, o, almeno, quello che pensano possa essere il loro particolare.

I cinquanta “coglioni” di Fukushima, invece, andrebbero d’accordo con Tommaso Moro, Santo per la Chiesa di Roma, che alla moglie che lo rimproverava di non seguire il proprio interesse, rispondeva “non tutto quel che è utile è giusto”.

Togliamoci il cappello dinanzi a loro.


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