I cani si integrano, i nomadi no

par Giovanni Paci
giovedì 10 febbraio 2011

“Anche il mio cane ha imparato a fare la pipì sul muro. Loro no. Ci odiano, non vogliono lavorare e sono sporchi. La loro integrazione è impossibile”. Serata memorabile martedì sera durante la trasmissione radiofonica “La zanzara” su Radio24. Spalleggiata dall’intervento della quasi totalità degli ascoltatori intervenuti, Tiziana Maiolo, politica di lungo corso, ex radicale, ex comunista, ex berlusconiana e ora, a quanto pare, dopo questa straordinaria uscita, ex finiana ha pronunciato queste parole sostenuta da un divertito Cruciani, il conduttore, che ha dichiarato: “Vorrei averla qui tutte le sere”.

Davanti alla morte di quattro bambini, una parte d’Italia non trova di meglio che riproporre la litania del “mandateli a casa loro” ignorando che, per molti, “casa loro” è il nostro paese e per altri, la casa è il posto disposto ad accoglierli, un posto sempre più raro in questa Europa impaurita e ignorante.

La valanga di luoghi comuni e di stereotipi che circonda la popolazione nomade è disarmante. L’odio nei suoi confronti non ha pari nella storia dell’umanità. I nomadi sono il capro espiatorio per eccellenza. Essi ci rappresentano quotidianamente le nostre paure, ce le ricordano agli angoli della strada, le materializzano nel loro stile di vita.

Nessuna prova di integrazione sposta di un millimetro la considerazione negativa di cui godono tra tutti gli strati sociali, in tutte le aree geografiche. Non importa se non è vero che tutti rubano, non importa se, in molte realtà, politiche sociali serie hanno permesso ad alcuni di affrancarsi dalla miseria e dall’emarginazione trovando un lavoro o conseguendo un titolo di studio. Non importa, sono zingari e questo basta. Nemmeno i corpi carbonizzati di quattro bambini muovono a un gesto di pietà, di dubbio, di compassione: non erano bambini, erano bambini nomadi. Devono andarsene via, questa è l’unica soluzione. Eppure la loro funzione sociale è evidente. Essi catalizzano l’odio provocato dalla paura, dalla nostra solitudine, dalla tristezza delle nostre vite sempre più rinchiuse dentro fragili mura impastate di incapacità di aprirsi all’altro, di capire gli uomini e il mondo. Se i nomadi non ci fossero, qualcuno dovrebbe prendere il loro posto per farci sentire i “normali”, i “puliti”, “gli onesti”. Se loro non ci fossero, dovremmo trovare qualcun altro, qualcuno molto diverso da noi e questo non è semplice. Non è semplice trovare persone disposte ad andare in giro con vestiti colorati chiedendo l’elemosina, permettendo a noi di potersi dire ben vestiti e onesti lavoratori. Non è semplice trovare qualcuno disposto a vivere nelle roulotte, nella continua precarietà, permettendo a noi di poter dire “Io non sono così, io ho una casa come si deve”. Eppure, io che ho trascorso un anno al loro fianco, posso dire che ho visto nei campi nomadi la stessa nostra società: ho visto persone amorevoli con i propri figli e ho visto lavoratori, insieme a gente violenta e a delinquenti; ho visto persone amichevoli e ospitali e altre diffidenti e ostili; ho visto genitori contenti che i loro bambini andassero a scuola e altri che li istruivano nell’arte di fregare il prossimo. Ho visto tutte queste cose in un campo nomadi e ho visto tutte queste cose nella mia città e in altre nella nostra società “per bene”. Ma tutto questo non conta di fronte alla politica delle Maiolo e agli insulti per radio degli italiani. Conta solo l’illusione di essere diversi e la politica delle chiacchiere: sporcarsi con i problemi non è più di moda. Meglio portare a spasso il cane e fargli fare la pipì... dove, a proposito, signora Maiolo?


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