I bombardamenti della NATO sulla Ex Jugoslavia. Le azioni orrende alle quali ha partecipato anche il nostro paese

par Laura Tussi
mercoledì 14 maggio 2025

I bombardamenti della NATO sulla Ex Jugoslavia cominciano il 24 marzo del 1999. È l’esordio della “guerra umanitaria” e “democratica” e delle “bombe intelligenti” e dei “danni collaterali”, in un ossimoro offensivo che dimostrerà soltanto una nuova teorizzazione e tipologia di guerra, un conflitto motivato ufficialmente da ragioni etiche e umanitarie, che solleva problemi e tragedie enormi.

di Laura Tussi su FARO DI ROMA

La NATO, costituita nel 1949, entra nella seconda fase della sua storia, avendo appena approvato, nell’aprile del 1999, il nuovo Concetto Strategico del cinquantennale, proponendosi come strumento globale dell’ordine “occidentale”.

L’organizzazione militare integrata del Patto Atlantico, il suo braccio armato, ed armato nuclearmente, all’inizio formalmente difensivo, ora si intesta il diritto di intervenire dentro e fuori i suoi vecchi confini istituzionali (l’area euroatlantica), anche senza mandato dell’Onu e per un ampio “spettro” di motivi, ovunque e in qualunque occasione ritenga minacciate la stabilità e la sicurezza dei Paesi membri (ad es. inserendo tra gli “interessi vitali” la garanzia della continuità dei flussi energetici).

La nuova NATO globale ed interventista fa proprio della ex Jugoslavia il suo primo banco di prova.
Qui, trascinato dal carro atlantico, il governo italiano partecipa per la prima volta ad una guerra su ampia scala dopo la stesura della Costituzione, per cui l’articolo 11 sarà irresponsabilmente calpestato, tramite una politica di riarmo mai abbastanza osteggiata e con un nuovo modello di difesa guerrafondaio portato avanti da politiche governative miopi e incoscienti, come denunceranno inascoltati i pacifisti.

“Carovane per Sarajevo”, libro abilmente e appassionatamente scritto dall’amico Francesco Pugliese, vuole essere una narrazione collettiva, un promemoria di denuncia relativo alle guerre contro i civili, alla dissoluzione della Ex Jugoslavia, al ruolo dei pacifisti e dell’Onu dal 1990 al 1999. Il libro si prefigge l’obiettivo di far diventare realtà l’utopia dell’abolizione della guerra: “fuori la guerra dalla storia”, la chimera della risoluzione pacifica e nonviolenta dei conflitti.

La guerra in Ex Jugoslavia ha segnato, nella storia contemporanea, un diluvio di violenza contro i civili, in anni di terrore, morte, rovine e indicibili crudeltà nel cuore dell’Europa.
Questo conflitto è stato etnico, confessionale, civile, imperialista e di aggressione, con centinaia di migliaia di profughi che fuggivano dai teatri del massacro, dove sempre si recita il macabro spettacolo inscenato dai signori della guerra. Le responsabilità del nazionalismo estremo, separatista e intriso di militarismo, in cui il ruolo dell’Onu mostrava i propri limiti, in una sostanziale inadeguatezza, in una storia complessa e intricata, nella deriva verso la violenza, vedranno una bolgia di bandiere sotto cui si sono uniti trafficanti di armi, mafiosi locali e internazionali, criminali comuni, fanatici religiosi, generali sanguinari, militaristi e guerrafondai di ogni sorta.

Il tarlo del nazionalismo ha aperto brecce nella società jugoslava, abituata, nel corso della storia, alla convivenza pacifica tra popoli intrecciati, mescolati e meticciati, causando l’assedio di Sarajevo, città simbolo di convivenza, che diviene al contrario emblema della tragedia jugoslava. Il genocidio di Srebrenica vede gli orrori e la ferocia di una guerra in cui l’Onu ha abdicato al suo ruolo risolutivo contro il dilagare dell’immane conflitto. Ma, in risposta a tutto questo, l’impegno del volontariato e del mondo del pacifismo italiano nel dramma jugoslavo fu multiforme, con numerose iniziative, gemellaggi, supporti e aiuti umanitari, progetti attivati, organismi impegnati, azioni di promozione del dialogo tra belligeranti e di solidarietà per i diritti umani, con il sostegno agli sfollati e la riunione di famiglie divise dai fronti, al fine di scardinare il perverso e terrificante meccanismo di odio e distruzione. La Milano, capitale della Resistenza, chiese che cessassero i bombardamenti, di cui le prime vittime sono le incolpevoli popolazioni civili di Belgrado e di tutte le città serbe.

Un appello contro i bombardamenti venne lanciato anche da Marzabotto. Da alcuni organismi e personalità furono depositate alle procure denunce per il Presidente del Consiglio D’Alema, per violazione dell’articolo 11 della Costituzione, con l’adesione del celebre prete di strada Don Andrea Gallo. Tino Casali, Presidente dell’ANPI provinciale di Milano e del Comitato Antifascista, illustrò il documento per la grandiosa manifestazione del 16 aprile del 1999, che invocò ancora trattative, per la risoluzione della tragica crisi del Kosovo, per far cessare i massacri di carattere etnico, i bombardamenti e l’esodo dei profughi. Innumerevoli furono gli appelli e le prese di posizione anche di grandi nomi della cultura tra cui Dario Fo, Don Luigi Ciotti e il regista Salvatores. Da non dimenticare, infine, la marcia Perugia-Assisi straordinaria del 16 maggio 1999, contro i bombardamenti Nato e contro Milosevic.

Le Nazioni Unite sono nate per eliminare il flagello dei conflitti armati dall’umanità. Nella guerra jugoslava, si è voluto relegare l’Onu, da parte della NATO, ad un ruolo marginale, esautorandolo, cercando la sua copertura, per far accettare all’opinione pubblica interessi inconfessabili e decisioni prese dall’alto, dai poteri forti, dalle multinazionali e bisognosi di legittimazione. Proprio i pacifisti sono stati sostenitori convinti della necessità di un rafforzamento dell’Onu, perché l’appello di Albert Einstein necessita di camminare su idee concrete: “La guerra non si può umanizzare, bisogna soltanto abolirla”.

Ed i pacifisti ancora stanno discutendo su come riprendere iniziative contro la NATO che abbiano impostazione europeista e respiro almeno europeo, non quindi limitato all’ambito nazionale.
La NATO andrebbe sciolta in quanto antagonistica con la prospettiva di un mondo pacifico: contrasta con lo Statuto dell’ONU ed è foriera di aggressioni e di guerre, ben ci ricorda il libro di Francesco Pugliese. La NATO è un blocco militare (e militaristico), retaggio “fossile” della guerra fredda incompatibile con l’unità politica dell’Europa. Poiché vogliamo un’altra Europa, promotrice di un mondo pacifico, “in cui prevalga il diritto di tutti e non il privilegio di pochi”, ecco che come europei dobbiamo organizzarci per sciogliere la NATO la quale non ha alcun senso sopravviva al Patto di Varsavia. In questo contesto, come italiani, possiamo decidere di uscire (chiudendo le basi USA sul nostro territorio), ma come contributo ad uno sbocco europeo da perseguire, non certo disinteressandoci dei destini del resto dell’Europa.

La “sinistra” dei valori e dei contenuti è quella che, maturata anche nel pacifismo in ex Jugoslavia, dice: “Prima gli esseri umani” e non “Prima gli italiani (o i padani, o i francesi, o quanto altro): prima l’eguaglianza da strappare ad una oligarchia economica e politica “globalizzata” che ci vuole rendere tutti oppressi e manipolati, prima i diritti umani fondamentali, tra i quali quello a sopravvivere in un mondo libero dalla minaccia nucleare; prima la libertà e la liberazione delle donne e la valorizzazione di tutte le “minoranze” e le diversità che, messe insieme, fanno la stragrande maggioranza; prima il rispetto dell’unico ecosistema che abbiamo e di cui dobbiamo porci come custodi per il senso delle generazioni passate e la speranza delle generazioni future.
Questi contenuti e questi valori sono già sentiti ed approvati confusamente dalla maggioranza delle donne e degli uomini di questo Pianeta. Spetta a noi organizzarli e dare ad essi rappresentanza unitaria ed intelligenza strategica e politica, procedendo lungo il cammino nonviolento sul quale già avanzavano i pacifisti che Francesco Pugliese racconta e documenta nel loro impegno contro la guerra della NATO in ex Jugoslavia.

Laura Tussi

CAROVANE PER SARAJEVO
Promemoria sulle guerre contro i civili, la dissoluzione della ex Jugoslavia, i Pacifisti, l’ONU (1990-1999)

Libro di Francesco Pugliese
Prefazione di Lidia Menapace
Introduzione di Laura Tussi
MIMESIS Edizioni

Nella foto: 26 anni fa, il 24 marzo 1999 iniziava il bombardamento di Belgrado con massicci raid aerei che durarono 78 giorni.
Con tutta evidenza anche in quel caso c’erano un aggressore e un aggredito.
E l’aggressore era la Nato, Italia compresa. Presidente del consiglio era D’Alema, vice presidente e ministro della difesa era Mattarella.

Pubblichiamo la ricostruzione di quel primo bombardamento trasmessa dalla Radio Svizzera Italiana.

Le sirene d’allarme, i bagliori delle fiamme che squarciano il buio insieme al suono raggelante delle esplosioni. È la sera del 24 marzo 1999 e su Belgrado (Serbia) iniziano a piovere bombe. È scattata l’operazione Allied Force della NATO. In quell’istante, insieme all’odore acre, scatenato dagli ordigni e dai palazzi che crollano, chi assiste alla distruzione comincia ad avvertire una nausea. Sa che tornerà ancora l’odore della morte. In quel preciso istante si ritrova catapultato, per l’ennesima volta, nell’orrore, in un passato che credeva (e sperava) sepolto.

L’idea del ritorno di una guerra in Europa sembrava impossibile, invece questa è già la seconda azione militare dell’Alleanza Atlantica su territori dell’ex Jugoslavia (la prima, sotto il nome di operazione Deliberate Force, in Bosnia ed Erzegovina, era stata condotta dal 30 agosto al 20 settembre 1995). I bombardamenti fanno seguito al ritorno degli altri spettri lugubri della Seconda guerra mondiale: la pulizia etnica, i massacri, gli stupri.

La sera del 24 marzo 1999 l’incubo, dunque, torna a materializzarsi. I cacciabombardieri sono decollati dalla base di Aviano, nel Friuli-Venezia Giulia. L’ordine lo ha impartito Javier Solana, ai tempi segretario della NATO (costituita da USA, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Canada, Spagna, Portogallo, Danimarca, Norvegia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio). Il comandante in capo dell’Alleanza Atlantica era allora il generale statunitense Wesley Clark.

I raid contro la Repubblica Federale di Jugoslavia di Slobodan Milosevic si concludono solo dopo 78 giorni, il 9 giugno. Il giorno prima lo Stato Maggiore serbo, persa la guerra, non ha altra scelta che firmare l’accordo di Kumanovo sul ritiro dal Kosovo (che era parte della Repubblica Federale di Jugoslavia).

Il 12 giugno arrivano le truppe della Kosovo Force (KFOR) composte, tra gli altri, da soldati statunitensi, tedeschi, italiani, francesi, turchi. Non mancano gli svizzeri. Dal 1999, infatti, l’esercito elvetico partecipa con Swisscoy alla missione internazionale per promuovere la pace in Kosovo, un impegno che si basa sulla risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Le vittime e la devastazione

Sotto la pioggia martellante di ordigni sganciati in 2’300 attacchi aerei durante tutta l’operazione NATO, diretti contro obiettivi militari (ma anche civili), avrebbero perso la vita almeno 2’500 persone (tra queste 89 bambini), altre 12’000 rimangono ferite (Human Rights Watch stima fra 489 e 528 il numero di civili uccisi dai soli bombardamenti). I profughi vengono stimati tra 700’000 e 1 milione. Oltre al numero dei morti causati dai bombardamenti dell’alleanza Atlantica, vanno aggiunti anche quelli dei massacri: da un lato compiuti dai serbi e dall’altro dai guerriglieri albanesi dell’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo). Secondo stime, sulle quali non vi sono certezze, in Kosovo furono uccisi più di 13’000 civili, di cui circa 10’000 albanesi e circa 2’000 serbi. Migliaia i dispersi.

I proiettili NATO con uranio impoverito: la lunga scia di morte
Non finisce qui. La NATO impiega anche uranio impoverito, per rendere ancora più micidiale l’effetto dei proiettili. Ma questo lascerà un’ulteriore scia di morte negli anni successivi, con numerosi casi di leucemia e di cancro, difficili da quantificare, sia tra la popolazione locale sia tra i militari (anche tra quelli dell’Alleanza atlantica, ammalatisi dopo essere stati in missione in Kosovo). Anche le acque di Sava e Danubio vengono inquinate dalle sostanze radioattive.

Oltre agli obiettivi militari, finiscono nel mirino dei caccia NATO anche infrastrutture civili: vengono distrutti, tra l’altro, 82 ponti, 14 centrali termoelettriche, 13 aeroporti, 20 stazioni ferroviarie, 148 edifici, 121 fabbriche. Danneggiati 300 edifici scolastici, ospedali e istituzioni statali. Vengono interrotte le telecomunicazioni (colpita anche la sede della televisione pubblica serba, 16 morti). I danni materiali vengono stimati in 100 miliardi di dollari.

Tra i tanti, tristi, episodi che vengono ricordati ci sono quelli del 1 maggio (47 civili uccisi su un bus, centrato mentre attraversa un ponte), dell’8 maggio (3 morti nell’ambasciata cinese colpita a Belgrado, episodio che scatenerà tensioni internazionali), del 13 maggio (a causa della NATO vengono uccise 60 persone – i feriti sono 80 – nel villaggio kosovaro di Korisa: l’Alleanza Atlantica accusa i serbi di aver usato i civili come scudi umani).

Una guerra senza mandato ONU

I raid NATO dell’operazione Allied Force vengono decisi senza mandato ONU (manca l’approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), cosa che scatena polemiche sulla legittimità dell’intervento militare. La Serbia li definisce un’aggressione illegale, ma secondo i leader alleati i bombardamenti sono necessari: servono a spingere Belgrado alla trattativa (dopo il rifiuto serbo di firmare il piano di pace per il Kosovo, proposto a Rambouillet), a contrastare lo spostamento forzato della popolazione del Kosovo (all’epoca parte della Repubblica federale di Jugoslavia), a fermare la politica di repressione e pulizia etnica avviata dal leader serbo Slobodan Milosevic. In particolare la causa scatenante della reazione dell’Alleanza Atlantica viene fatta risalire a quanto accaduto il 15 gennaio 1999 a Racak, località a sud di Pristina, nell’ambito della guerra del Kosovo. Qui la parte kosovara denuncia un massacro di civili innocenti (una quarantina di persone di etnia albanese), da parte dei serbi. La comunità internazionale non accetta la versione di Belgrado, secondo cui, invece, le persone uccise sono guerriglieri indipendentisti albanesi dell’UCK (che aveva iniziato a compiere violenze contro la popolazione di etnia serba già dal 1995), un’organizzazione terroristica secondo la Serbia.

Oggi, 25 anni dopo, la posizione della Serbia su quella che ritiene una “aggressione illegale”, rimane la stessa. Il 25 marzo 2024 una seduta del Consiglio di sicurezza dell’ONU sarà dedicata all’anniversario. Il ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic, intende spiegare alla comunità internazionale la posizione di Belgrado sui bombardamenti NATO. Il ministro ribadisce che si trattò di una “aggressione illegale, decisa senza mandato dell’ONU, che segnò l’inizio della violazione del diritto internazionale e del principio di rispetto della sovranità e integrità territoriale degli Stati”, alludendo alla successiva proclamazione unilaterale di indipendenza da parte del Kosovo. Dacic, inoltre, ha detto di non credere a un ravvedimento dei Paesi che parteciparono ai bombardamenti o a una loro richiesta di scuse. La cosa importante – ha detto – è che si ascolti la versione e la verità della parte serba.

Per il regista serbo Emir Kusturica, dopo i bombardamenti NATO del 1999 sul loro Paese, i serbi odiano l’Alleanza Atlantica. “Il nostro popolo li odia. Per noi la NATO commise un crimine che non si può dimenticare”, ha detto il regista in occasione dell’anniversario al quotidiano moscovita Izviestija. “Penso che si trattò di una decisione strategica. L’Unione Sovietica si era dissolta, e i Paesi NATO volevano mostrare all’Europa chi era il padrone”, ha aggiunto Kusturica, noto per posizioni a sostegno del nazionalismo serbo.

Intanto a Belgrado alcuni enormi edifici, sedi del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore, colpiti nel centro della capitale nel 1999, sono stati volutamente lasciati in macerie, per ricordare i bombardamenti subiti quel lontano 24 marzo 1999.

Fonte: Rsi.ch

 


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