I bambini di Scampia hanno il diritto di sognare
par Angela Iantosca
mercoledì 4 gennaio 2012
Una giornata con Davide Cerullo alle Vele di Scampia: con i bambini tra la munnezza, le siringhe, le case occupate, la pioggia, le macchine abbandonate, le retate della polizia, le sentinelle, i morti ammazzati, i videogiochi, le pistole ad aria compressa e tanta voglia di normalità. Cosa possiamo fare perché i fiori venuti da poco al mondo non vengano calpestati e le loro ali non vengano bruciate troppo presto?
Scampia: terra di camorra, morti ammazzati, arrestati, munnezza, pizzo, disoccupazione, famiglie che non sanno come arrivare a fine mese, fatiscenza, precarietà materiale ed emotiva, mura scrostate, pozzanghere d’acqua, fili elettrici penzolanti, sentinelle, polizia, retate, puzza, morte.
Ora cancellate tutto questo. E osservate la camorra, i morti ammazzati e arrestati, la munnezza, il pizzo, la disoccupazione, le famiglie che non sanno come arrivare a fine mese, la fatiscenza, la precarietà, le mura scrostate, le pozzanghere d’acqua, i fili elettrici penzolanti, le sentinelle, la polizia, le retate, la puzza, la morte con gli occhi di chi è venuto da poco al mondo e vede intorno a sé cemento, sente urla, ascolta parole, frasi in codice, vede sofferenza, follia, desolazione e cresce sentendo quell’odore, sentendo l’umido che viene dalla terra, vedendo i fuochi per strada e quelle statue di Padre Pio così rassicuranti. Guardate con gli occhi dei bambini quelle madri che vivono in casa e fanno le faccende, che la notte si mettono in viaggio per essere le prime in fila per il colloquio con il fratello, il marito che (sempre innocente) è in carcere; guardate con i loro occhi quei padri troppo spesso assenti perché costretti dallo Stato "infame", dalla legge ingiusta a stare lontani, ma che grazie ad amici fidati mandano regali e garantiscono una vita "dignitosa". E guardate quei fratelli che per sostituirsi ai padri decidono di “pensarci loro” a portare avanti la famiglia, perché è tutt’apposto. E poi spostate lo sguardo su quei bambini che giocano tra siringhe abbandonate, che vedono madri in motorino con i bambini alla guida, senza casco, guardate quei bambini costretti a giocare lungo corridoi fatiscenti, che sentono urlare “Maria” e sanno che la polizia è vicina, che sanno che è meglio non fare foto e riprese, che la parola polizia è meglio non pronunciarla, che sognare non è un diritto e forse è anche un non senso… Perché, a Scampia, i bambini hanno diritto di sognare?
Piazza Garibaldi. Ci viene a prendere in macchina per portarci a casa sua. Nel cuore dei suoi affetti. Nel cuore di quella Napoli che fa paura a tanti. Ma che lui conosce bene. Perché Davide Cerullo alle Vele ci è cresciuto. E da quel posto ha deciso di andarsene. Per amore verso di sé. Per amore della sua famiglia e dei suoi figli. Che sono fiori che nessuno ha il diritto di spezzare. Ma Davide torna in quel posto. Torna perché lo vuole cambiare. Vuole cambiare la gente. Vuole cambiare lo stato delle cose. Quell’inerzia, quella sporcizia. Vuole che i bambini, uomini di domani, non pensino che un futuro è possibile solo con la pistola in mano. Che non debbano stare in mezzo alle case, sulla strada, mentre il padre si è andato a fare in una cantina. Mentre due sentinelle fanno la guardia. Davide non vuole che i bambini di 3 anni sappiano già decodificare il linguaggio della malavita. Davide non vuole che a tre anni i bambini riconoscano già i poliziotti in borghese o che ci sia per loro il coprifuoco. Non vuole che per loro essere uomo significhi alzare la voce, essere forte fisicamente, prevaricare.
“La poesia mi ha salvato. Sembra assurdo. Ma è così. La poesia mi ha fatto vedere quella bellezza che non riuscivo ad immaginare da “cittadino” delle Vele. E mi viene una rabbia al pensiero che i bambini e tutti coloro che vivono qui non sappiano cosa sia la bellezza, che esistono altri mondi al di là di questo spazio, altre vite”. Davide Cerullo è uno di quei ragazzi che ce l’ha fatta, nonostante la famiglia, nonostante il fascino esercitato su di lui dal denaro, la droga, le macchine, la bella vita, nonostante gli “amici” che ti fanno sentire un eroe, nonostante le pistole che ti fanno sentire imbattibile. “La poesia, Don Aniello Manganiello, la mia forza di volontà, l’amore per Patrizia e i miei figli mi hanno aiutato a venirne fuori. Ho conosciuto il carcere, che vi posso assicurare, insegna a fare peggio perché in prigione si impara solo ciò che non bisognerebbe sapere; ho conosciuto la paura, ho visto la morte, ho visto la sofferenza… ma l’aver visto un barlume di bellezza, di vita al di fuori di quella che era la mia vita di allora, mi ha aiutato a muovere i primi passi e ad allontanarmi gradualmente dalla sporcizia. Ma ho dovuto lasciare Scampia per iniziare una nuova vita”.
CREDO IN UN DIO POETA DEL CIELO E DELLA TERRA
Era il 1997 quando Davide Cerullo prese un treno di solo andata per Modena, dove vive ancora. “È stata dura, ma ce l’ho fatta. Sono uscito dal giro e anche dall’uso che facevo di cocaina. Non mi sono mai bucato perché mi facevano impressione gli aghi, per fortuna… La mia non era una vita. Ma la fede, conosciuta proprio in carcere, mi ha dato la forza. Anche se non sono di quelli che ama riempirsi la bocca della parola Dio. Non cerco la salvezza negli altri o non cerco la soluzione nei preti. Posso parlare di Dio anche parlando del sole o dei fiori. Io credo in un Dio poeta del cielo e della terra… sono in cerca di un grande forse, di una fede con 3000 dubbi…”.
DAVIDE BAMBINO DI SCAMPIA
“Sono il nono di 14 figli. E sono stato io ad entrare per primo nel Sistema. Poi i miei fratelli ed anche mia madre. Nostro padre, che è morto pochi mesi fa, faceva il pastore. Ma, ad un certo punto, ci ha abbandonati ed è rimasto a vivere a Cassino. Non l’ho mai capito… Anche io ho fatto il pastore, proprio qui a Scampia. C’è una tradizione di allevatori in questa zona, dove non ci sono costruzioni, dove ci sono ancora i campi. A 13 anni ho cominciato a lavorare per la camorra e negli anni arrivai a guadagnare un milione di lire al giorno. Da quando ho deciso di andar via, ogni volta che torno alle Vele, vedo questa vita con occhi diversi. Riesco a vedere esattamente tutto ciò che succede, le brutture, la sporcizia. E soffro per i bambini che crescono qui, che in questi spazi grigi sono costretti a giocare, mangiare, ad innamorarsi, a sposarsi e ad avere figli. Soffro per i figli dei miei fratelli e delle mie cognate. Soffro e mi domando: perché i miei figli possono vivere con la bellezza negli occhi e loro no? Perché a nessuno interessa? Dove è lo Stato? La Chiesa, i preti di strada sono importanti, ma non possono sostituirsi allo Stato: sarebbe troppo comodo. La scuola dove è? Cosa possono insegnare ai propri figli delle ragazzine di 15 anni, che nei loro occhi hanno solo le Vele, che pensano che il massimo sia diventare la donna di un camorrista? Loro non hanno ricevuto niente e niente sapranno dare. Di tutti i bambini che ci sono qui, molti hanno già le “ali bruciate”.
“So che devo attendere paziente lavorando dal fondo, ma alla mia gente è urgente sperimentare il proprio cambiamento": è una frase di Danilo Dolci, ma la sento mia. So che devo aver pazienza e che posso limitarmi a gettare delle sementi che poi un giorno spero diventeranno frutti sani. Ma sto lavorando affinché, pian piano, le cose cambino. Dovrebbe cambiare la mentalità. Totalmente. “Con il libro “Ali bruciate”, pubblicato due anni fa e scritto con Alessandro Pronzato, prete straordinario che vive in Svizzera, e la mostra fotografica itinerante, realizzata con le foto da me scattate alle Vele, ho smosso un po’ le coscienze, ma soprattutto ho creato una rete di contatti, di amicizie, di supporti. La mia idea è quella di creare una sorta di “gemellaggio” con Scampia. È importante portare via dalle Vele i bambini per determinati periodi e portarli in luoghi diversi dove ci sia del bello da vedere, dove si respira normalità. E penso che anche gli operatori che lavorano con me a Modena è giusto che vengano a Scampia per capire cosa sia e cosa significhi vivere in questo contesto, per poi spiegarlo a tutti. Questa idea la sto estendendo anche ad alcune madri… devono uscire dalle Vele e vedere che un altro mondo è possibile. Io sto lavorando con il Progetto Don Lorenzo Milani e con la Fondazione “Un Raggio di Luce” con la quale ho realizzato la mostra fotografica. Fino ad ora periodicamente ospitiamo dei bambini. Io vivo in provincia di Modena, ma riusciamo ad organizzare dei periodi di “vacanza” anche in altre località, come per esempio in provincia di Torino. L’idea, tuttavia, è di creare a Scampia un centro di riferimento alternativo e formativo”.
LA MIA VITA A MODENA
“Da due anni e mezzo viviamo a Modena. Dopo esserci stato per più di 4 anni, quando me ne andai da Napoli. Ma, alla fine dell’anno scolastico 2012, con la mia famiglia ci trasferiamo sicuramente in Toscana. Credo che non sia il momento di tornare alle Vele. Non posso far crescere i miei figli con questa realtà. Chiara e Alessandro sono dei fiori e non posso permettere che la mia città, il mio luogo di appartenenza, la mia famiglia di origine me li spezzino…”. Chiara ama leggere e da grande vorrebbe fare la maestra o la stilista. Alessandro, invece, sicuramente coltiverà la sua passione per i computer. Se chiedi loro cosa sognano per il futuro, ti rispondono che vorrebbero tornare a vivere a Napoli… ma non alle Vele.
Camminiamo per le strade che corrono intorno alle Vele. Incontriamo una donna con due bambini che da poco è venuta a vivere alla 167. Un uomo, invece, sta cercando casa proprio lì e chiede se ce ne sono di libere. Andiamo in uno scantinato e incontriamo Roberto, il “restauratore”: sotto le sue mani qualsiasi oggetto, mobile riprende vita e ritrova la sua anima. Nel suo “ufficio” campeggia una immagine del Napoli, un poster di Baglioni, qualche Santo e il candidato a Sindaco delle ultime elezioni, Lettieri. Poi incontriamo Ciro che ha trasformato uno scantinato, abbandonato da una famiglia che lo aveva eletto a propria abitazione, in una sala in cui poter suonare la batteria. La musica sale fino ai piani più alti. E’ musica, non sono spari, non sono urla. La musica che trova spazio alle Vele. Ciro ama suonare e da grande questo vorrebbe fare: ha un bel ritmo e la faccia seria e concentrata mentre esegue una melodia che ha nella sua testa: “Ho fatto tutto da solo: ho ridipinto, ho messo la luce e ho anche imparato a suonare da solo. Da un anno vado a scuola di musica. Ora attaccherò alla parete il polistirolo per isolare l’ambiente ed evitare che mi si scordino le casse”. Ciro ha un sogno e, nonostante il luogo in cui è nato, ha il diritto di realizzarlo.
VOGLIO FARE IL POLIZIOTTO
“Tutti noi bambini di Scampia – mi racconta Davide – abbiamo detto da piccoli che avremmo voluto fare i poliziotti. E lo sai quale è il motivo? Per la pistola. Perché i bambini vedono che la persona che la può portare con più facilità è proprio il poliziotto. E allora le famiglie gli regalano le pistole che funzionano ad aria compressa, per esercitarsi”. Non è sete di giustizia la loro. È voglia di sparare. “Mi ricordo quando trovai quella che sarebbe diventata la mia prima pistola – mi racconta Davide -. Io spacciavo e quando mi davano la roba, la nascondevo, ogni volta in un posto diverso. Un giorno, allungando la mano per recuperare il mio pacchetto, nascosto nell’intercapedine del muro, sentii una cordicella alla quale era legata una pistola. Ebbi un tuffo al cuore. La presi e mi sentii uomo. Una sensazione di potere. Improvvisamente il mondo davanti a me si era aperto. Improvvisamente mi sentivo grande, invincibile. Avrei potuto fare di tutto. E condivisi questa emozione con un amico… Eravamo al settimo cielo… Conosco talmente bene quella sensazione che mi fa paura rivederla in tanti ragazzi e bambini. Mi sconforta. Quando vengo qui e vedo come degli occhi innocenti abbiano perso quella trasparenza, che parlano con indifferenza di morte, che vivono in mezzo alla morte, al carcere, alle notti insonni, ai rumori di Scampia, che vivono sentendo Scampia come l’unico luogo sulla terra e percepiscono la stessa Napoli come qualcosa di lontanissimo e Roma come addirittura l’America… mi viene rabbia e sento che devo fare qualcosa per aiutarli, per salvarli. Molti sono già perduti”.
Ma i bambini non sognano solo le pistole. Nel loro futuro vedono anche il San Paolo di Napoli: “Voglio fare il calciatore come Lavezzi o Cavani”, mi dice un altro piccolo scugnizzo con gli occhi grandi, curiosi, e le lentiggini sul naso.
E Davide cosa sognava da bambino? “Mi ricordo che sognavo una famiglia normale. Guardavo la pubblicità della Mulino Bianco o della Buondì Motta e pensavo che io una famiglia così non ce l’avevo…”.
I SUONI E I COLORI DI SCAMPIA
È una giornata di pioggia a Scampia. Di quella pioggerella sottile. I bambini, indifferenti alle nuvole, giocano a calcio. È giorno di mercato. La musica è alta e assordante. Neomelodici, musica rap. Ogni tanto passa una macchina che manda musica da discoteca a tutto volume. Passano, osservano, indagano. Salutano Davide che mi presenta come una sorella, una amica… Cassette abbandonate, sporco che si è sommato a sporco negli anni. Acqua che cola. Tubi che perdono e fili della luce lasciati liberi in mezzo all’acqua. Macchine abbandonate. Macchine distrutte. Private delle ruote, delle targhe, dei paraurti… Ruggine... Alcuni garage trasformati in case. Alcune case abbandonate. Altre occupate. Ogni muro, ogni centimetro di quei corridoi, di quelle scale racconta qualcosa. Racconta corse, fughe, paura, sudore, sudore freddo, piscio. Dignità che vola via. “Se questa gente avesse la bellezza dentro la sua anima – dice Davide -, se il bello guidasse la loro vita, se fossero persone con una dignità, se provassero “ammore”, quello napoletano, con due ‘m’, non potrebbero accettare di vivere così. Di vivere sulla spazzatura: non la munnezza di cui si è parlato tanto e per la quale la politica non vuole fare niente, ma la munnezza provocata da noi. Quella munnezza che nasce dall’anima. Che ti porta a dire che le cose stanno così, che così devono andare, che nulla può cambiare. Ma, in realtà, il cambiamento dovrebbe venire da noi. E invece no. No, perché la camorra si è talmente radicata, incancrenita, da far credere che le cose funzionano solo grazie a lei. Che se lei non ci fosse, non ci sarebbe lavoro, che se lei non ci fosse, non ci sarebbe ordine. Quello che più temo, che più mi inquieta non è tanto il male che si fa, quanto il silenzio dei buoni che lo moltiplica. Il grande male del nostro tempo è l'indifferenza e la rassegnazione”.
LA DROGA A SCAMPIA
Vivere Scampia ti fa rendere conto di come lo Stato, le Istituzioni vogliano che le cose non cambino. “Sono 30 anni che non si fa manutenzione. Se vedi delle zone pulite, ci ha pensato la camorra”. Scendiamo delle scale. Davide mi chiede se voglio vedere cosa sia la morte, chi sono quelle persone grazie alle quali la malavita si arricchisce. Chi sono le vittime del Sistema.
Tra piloni, dove la luce penetra appena, gente che mormora… voci basse. Sguardi interrogativi. Si accorgono a mala pena del nostro arrivo. Non loro almeno. Seguo Davide che entra sicuro… Fuori siringhe. In fondo, dopo due stanze umide, bagnate, sporche, senza mattonelle o pareti dipinte, ma crude – unica scenografia possibile – un ragazzo su un banchetto distribuisce le dosi e prende i soldi. È attento, scrupoloso. Un ragazzo si è appena bucato e si tampona con del cotone. Un altro ha il pantalone con la gamba alzata. Un uomo, quasi piegato su se stesso, ha il pantalone calato. Sento che domanda chi siamo… “Chi sono?”. Ma dopo poco si gira in cerca della sua dose e in attesa del suo turno. Si bucherà direttamente nella safena. Il punto migliore, per far andare prima in circolo la roba. Usciamo e respiriamo.
Per strada un uomo cerca qualcosa tra le “siepi”: “si è appena fatto di cocaina - mi spiega Davide -, cerca cose che non ci sono”. Da lontano vedo un ragazzo che mangia degli spaghetti al sugo sul tettuccio di una macchina “è una sentinella… controlla chi entra ed esce dal sotterraneo… La pasta gliela preparano qui alle Vele. In questo modo la camorra dà da lavorare. Paga una o più donne per preparare da mangiare a questi ragazzotti”… Finito di mangiare, butta la forchetta per terra e rimane lì… ad osservare. Gli passiamo vicino… è un ragazzo, Lo vedi che non ha nerbo. È facilmente ricattabile. È un debole che cerca di dimostrare ciò che non è.
Passa una coppia. È allegra come se stesse salendo le scale di una Chiesa per andarsi a sposare… e invece…
A CASA DI DAVIDE
“Quando vengo alle Vele – spiega Davide – dove vivono tanti dei miei fratelli, tutti vorrebbero ospitarmi. Quest’anno abbiamo ceduto alla richiesta dei miei nipoti che ci hanno voluto con loro! Quando veniamo qui, i miei due ragazzi giocano con i cugini e leggono poco… ma a casa, a Modena, è un’altra storia. Ai bambini non è tutto dovuto perché sono bambini. È giusto imporre loro delle regole. Far capire cosa sia il sacrificio. Se gli viene tutto concesso, quando si troveranno di fronte agli ostacoli della vita cosa faranno? Non avranno la possibilità di dire no o di scegliere e seguiranno ciò che fa più comodo. I bambini non vanno comprati con i giocattoli. È troppo semplice. Anche questo bisognerebbe far capire”. La casa è pulita, uno schermo al plasma enorme campeggia in salone accanto ad un presepe. La cucina è accogliente e intorno alla tavola i suoi bambini e quelli della sorella della moglie. Ci sono tutti, seduti composti, allegri: un’oasi felice. Lì non ci sono problemi, non ci sono pensieri. I bambini sono bambini: mangiano poco, non amano la verdura e neanche la frutta. Del piatto linguine con i lupini mangiano solo i lupini… e poi un po’ di pane e bevono la coca cola. Appena possono fuggono a giocare ai videogiochi… Amano correre, urlare, saltare e sorridere spensierati. Come tutti i bambini del mondo.